Un passo avanti. Speriamo non ce ne saranno due indietro

Il 26 agosto 2021 Ri-Make/Associazione Fuorimercato ha avuto un incontro con l’assessore alle politiche sociali e abitative Gabriele Rabaiotti, dopo la nostra richiesta di vedere Sindaco e Assessori interessati alla questione legata allo spazio di via del Volga 4.

Ri-Make Bene Comune

Un pranzo popolare della domenica a Ri-Make

Di fronte alla prospettiva della demolizione dello stabile – mai contestata da parte nostra – e al rischio di uno sgombero da un’area ben più ampia dello stabile da demolire, per noi ormai da tempo bene comune, abbiamo ribadito le nostre proposte di sempre: riconoscimento provvisorio del Bene Comune attraverso un patto di collaborazione con il Comune, co-progettazione del lavoro successivo alla demolizione con chi attraversa lo spazio e con il quartiere, per definire insieme spazi e funzioni sociali, mutualistiche e aggregative per noi essenziali (garantendo anche la salvaguardia del verde dell’area).

La risposta dell’Assessore, che consideriamo comune all’insieme della Giunta, questa volta ci è parsa convincente: da una parte ha chiarito che i tempi per la demolizione non saranno immediati, mancando ancora il progetto esecutivo; dall’altra, riprendendo in parte i contenuti della nostra manifestazione d’interesse (con cui rispondevamo un anno fa all’avviso pubblico del comune, e cui il comune ha poi deciso di non dare seguito), l’Assessore ha dichiarato per iscritto la possibilità di “verificare la fattibilità tecnico/amministrativa di un Patto di collaborazione, limitato all’utilizzo degli spazi ancora utilizzabili oltre a quelli all’aperto, e in attesa della demolizione permetta alle diverse realtà che lo riterranno interessante di utilizzare in forma non esclusiva gli spazi dell’ex Liceo Omero”. Infine, ed è l’aspetto per noi interessante, ci potrebbe essere la disponibilità ad un percorso di partecipazione “aperto al quartiere, finalizzato a costruire linee di indirizzo sulla futura destinazione del nuovo edificio” – che nelle intenzioni dell’Amministrazione dovrà ruotare attorno ai temi dell’emergenza abitativa.

Tutto a posto allora? Evidentemente no. Ma un passo avanti è stato fatto.

Quindi registriamo la disponibilità a ragionare su tutte le possibilità che diano un futuro alle attività sorte in questi anni in quello spazio bene comune, ma è chiaro che si apre un percorso non facile che potrebbe portare ad un progetto partecipato per la nuova destinazione.

La difficoltà del percorso non ci spaventa, anzi è una sfida che abbiamo sempre voluto raccogliere – con le tante proposte da noi fatte in questi anni e con le attività che abbiamo sviluppato collettivamente nel Bene Comune.

Un percorso che ancora in queste settimane sta ripartendo con un uso sempre maggiore da parte degli abitanti del quartiere degli spazi di aggregazione, solidarietà e sport popolare.

Ora saremo ancora più attent*, non solo allargheremo quelle attività, ma faremo proposte ancora più puntuali e intendiamo accelerare le risposte dell’Amministrazione. E come sempre lo faremo in forma aperta e pubblica, decidendo tutto nelle assemblee di Ri-Make Bene Comune.

Reinventare le città…o condannarle a un triste destino?

È bello alzarsi una mattina d’estate, farsi una doccia veloce, mangiare e magari dare un’occhiata alle notizie sui giornali, per sapere cosa sta succedendo nel mondo in cui vivi e placare l’afa con una ventata di novità dalla tua personale finestra sul mondo. A volte però si ha l’impressione che si esageri con le novità di cui sopra.

Ecco che ad esempio, in questi giorni, la stampa mainstream stia sottolineando come nella nostra Milano i progetti di riqualificazione che vanno sotto il nome di Reinventing Cities, progetti che non implicano solo Milano ma tutte le principali città d’Italia, stiano arrivando a un dunque, e a un dunque pesante in termini di impatto sulla forma e sul senso non solo dell’abitare ma del vivere in una città complessa.

In realtà del progetto Reinventing Cities si parla da molto più tempo sottotraccia, ma ora un po’ per via dell’assegnazione del bando a alcune realtà dell’architettura internazionale, un po’ perché coi vari PNRR parrebbe che una nuova pioggia di soldi stia per riversarsi sulle città del nostro Bel Paese, cosa di cui sarebbe sciocco non approfittare, in nome di un costruire relazioni con alla base non il benessere di tutti i soggetti coinvolti ma il profitto di alcuni, ecco che tutti, dagli assessori di maggioranza all’opposizione, pare che tutti siano convinti di un’opera di riqualificazione da verificare al microscopio per evitare l’ubriacatura collettiva.

Siamo infatti in un periodo critico, dove occorre effettivamente prendere delle decisioni sensate. Il Covid prima e ora i cambiamenti evidenti nel clima ci stanno dimostrando che forse le decisioni prese in molti ambiti delle nostre esistenze sono state dettate dalla comodità e dall’abitudine, oltre che da interessi economici che andavano appunto a cementare quelle abitudini in un circolo vizioso, e che ora dobbiamo rivedere le scelte da effettuare per un certo tipo di futuro.

Ad esempio lo scorso anno, i Comitati Civici La Goccia, Le Giardiniere e Il Giardino degli Aromi (quest’ultima è una associazione Onlus che all’interno dell’ex Paolo Pini ha sviluppato esperienze comunitarie di orti urbani) hanno dato vita a RiforestaMI, un evento contenente il racconto teatrale “Il Lago Che Resiste” e una introduzione di Paolo Pileri, Professore di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico.

Dove non è la cittadinanza attiva a muoversi, nascono invece interventi meno trasparenti o con versanti inquietanti. Ad esempio in Via Zama al civico 23 a Milano, dove si trova una scuola costruita nel 1923 addirittura e da parecchio tempo lasciata inutilizzata, come spesso avviene purtroppo con strutture di questo tipo (la cultura non è una priorità civica pare), probabilmente l’AMSA prenderà in gestione l’edificio in questione con una demolizione della scuola stessa e ricostruzione di un Hub per l’emergenza abitativa, per cui si pensa ai fondi del PNRR nella somma di 25 milioni.

Ma non solo: per evitare che gli attuali occupanti abusivi – si fa notare incidentalmente che si sgombera chi è in emergenza abitativa appunto – rientrino nella struttura, AMSA si occuperà anche con adeguato intervento di vigilanza privata di tenere i locali sgomberi, rispondendo così a una emergenza creata ad arte dalla stampa di destra che ha dipinto gli occupanti come persone pericolose – si sa che le dinamiche abitative di chi è senza dimora sono problematiche, non per questo sono da condannare e catalogare come devianza.

Senza contare le operazioni di mero sgombero, senza ricollocazione, avvenuti in quest’ultimo periodo: Via Mme De Stael, via Iglesias, gli sfratti denunciati dal Comitato Abitanti di San Siro, quelli segnalati dal Comitato Abitanti Barona, senza contare il futuro segnato di spazi quali MACAO, e la prossima chiusura di Casa Santa Chiara, uno spazio notturno per senza fissa dimora, in vista dei prossimi progetti olimpici, quasi che oltre a non considerare certe persone – brutalmente: forse perché non votano? – come mera emergenza e non come portatori di una situazione difficile da affrontare con interventi strutturali.

Oltretutto, in contesti considerati da tutti come meno ‘democratici’ rispetto al nostro Paese, ad esempio in Cina, laddove l’ingegneria civile o l’architettura preme per modificare l’aspetto delle città, c’è sempre un compenso in denaro per chi si trova senza dimora da un giorno all’altro. Persino un certo cinema impegnato ha mostrato questo aspetto del modus operandi cinese – pur criticandone altri come del resto è lecito fare – in una pellicola come “Still Life”, del 2006, del pluripremiato regista Jia Zanghke. Vorranno i democratici e progressisti politici nostrani essere da meno di quanto avviene in altrui ‘regimi’?

Anche perché oltretutto è facile imbattersi in simil-ecomostri in costruzione (fuori dal progetto Reinventing Cities vogliamo dire) nelle nostre periferie per cui si potrebbe scomodare il muratore di Amarcord di Fellini che, durante dei lavori, al proprio ‘padrone’ cita una poesiola il cui senso è “ho costruito tante case, ma la mia dov’è?”, che restituisce un senso di spaesamento che noi non proviamo tanto di fronte al progresso, quanto per uno scetticismo sano, quello che proviamo di fronte a studenti universitari per cui il prezzo ‘calmierato’ per una stanza si avvicina ai 500 euro al mese.

Come pagheranno gli studenti quel prezzo calmierato? Chiederanno alla borsa di mamma e papà ulteriori sacrifici? Cercheranno un lavoro temporaneo? Lo troveranno? E pagato come? Insomma, sembra che la nostra città sarà “friendly” soltanto in apparenza, nascondendo gentrificazione (l’arte del far pagare in periferia somme pari a quelle del centro città per praticamente tutto) e greenwashing (l’arte altrettanto nobile del riverniciare col colore dell’ecologia pratiche tutt’altro che sane per l’ambiente) dietro parole nobili quali “approccio architettonico solistico” e “fluidità tra verticalità e orizzontalità”, come abbiamo avuto modo di ascoltare nelle presentazioni pubbliche dei progetti relativi a Bovisa, Piazzale Loreto, Crescenzago e ex Macello.

Quale alternativa a tutto ciò? Noi pensiamo a una città in cui in futuro occorra mettere al centro la cura e le relazioni. Che idea di città implica il puntare sul mutualismo, ovvero sull’idea che ogni uomo è una risorsa e non un disturbo, e sul prendersi cura di sé e dell’altro in tutti gli ambiti della nostra vita?

Beni Comuni vendesi?

25 novembre 2020

Arrivano novità importanti dal Comune di Milano!
Saranno interventi d’urgenza per l’emergenza Covid-19? Investimenti economici per sostegni al reddito, alla spesa, alla casa, alla cura dei bambini?
Macché! Si tratta, come spesso ormai ci capita di ricevere, brutte e minacciose notizie per alcuni spazi sociali autogestiti e solidali della città…

Lo scorso 2 novembre sul sito istituzionale del Comune di Milano viene pubblicato questo comunicato: “Con 25 voti a favore il Consiglio comunale ha votato l’integrazione al Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari del 2020. La delibera modifica il Documento unico di programmazione del Bilancio di previsione 2020-2022 e consente un’integrazione delle dismissioni immobiliari che serviranno al Comune per attivare processi virtuosi di rigenerazione urbana come Reinventing cities e rimettere nel circuito cittadino sin da subito 25 immobili in disuso, oggi abbandonati sul territorio.

Questa delibera, e un’altra di pochi giorni precedenti, riguardano anche la struttura dell’ex-Liceo Omero di via del Volga 4 per la quale si trovano due precisioni:

  • l’anticipo della demolizione (prevista nel Piano Triennale delle Opere) dal 2021 al 2020 (!?) – con una spesa prevista di 2,500,000 di Euro
  • la vendita dell’area con pieno diritto di proprietà e di superficie

In sostanza l’ex Liceo verrà demolito e l’area venduta a chi vincerà un bando specifico che ne potrà quindi disporre su un proprio progetto.

Obiettivo dell’Amministrazione Comunale? Fare cassa “per fare politiche di investimento senza ricorrere all’indebitamento”. Ovvero rinuncia a spazi e strutture che potrebbero rispondere a esigenze sociali nei vari quartieri affidando al privato rispondere (forse) a queste esigenza.

Un anno fa, parlando della demolizione, l’Assessore Granelli scriveva: “Come usare quello spazio sarà un tema di partecipazione dei cittadini, a partire dallo studio delle esigenze della popolazione e pensando i cambiamenti del quartiere”.

La realtà è ben diversa: la progettazione sarà fatta da un privato, che ovviamente prevederà la “risposta a bisogni sociali”, ma non ci sarà alcuna discussione con il quartiere per valutare quali siano quelle esigenze.

Come avevamo comunicato pubblicamente, alla fine del mese di settembre abbiamo inviato una nostra manifestazione d’interesse (dopo le due precedenti inviate già nel 2018 e nel 2019) presentando il progetto di Ri-Make Bene Comune, attraverso l’associazione Fuorimercato, attiva da tempo nello spazio, e un insieme di realtà associative e informali che volevano continuare a dar vita all’ex liceo Omero recuperato come spazio aperto e non esclusivo, partecipato, autogestito, mutualistico.

Una manifestazione d’interesse che presentavamo nel quadro dell’avviso pubblico aperto dal Comune di Milano, che riguardava appunto i 25 spazi “in disuso” (sic!) con un progetto che prevedeva una soluzione in due tempi per l’ex Omero: il riconoscimento in tempi brevi come Bene Comune dello spazio – che quindi potrebbe continuare le attività sociali, culturali e mutualistiche con una gestione aperta – fino alla demolizione (di cui comprendiamo la necessità, date le difficoltà di una efficace e complessiva ristrutturazione dello stabile); l’utilizzo del tempo in attesa della demolizione per aprire un tavolo di co-progettazione tra le associazioni interessate, le/i cittadine/i del quartiere e l’Amministrazione Comunale per decidere insieme quali siano davvero le esigenze comuni e cosa si potrebbe realizzare nello spazio, anche attraverso finanziamenti europei e solidali.

Nessuna risposta è ancora arrivata rispetto a questa manifestazione d’interesse ma il percorso avviato dall’Amministrazione Comunale è molto chiaro, e ci chiediamo dunque che valenza abbia avuto questo avviso pubblico e le proposte di “partecipazione” rivolte alla cittadinanza per la gestione degli spazi da recuperare, tanto decantate dalla giunta.

In un precedente comunicato parlavamo di “scelte amministrative che sembrano contraddittorie…  rispetto alle stesse possibilità regolamentari e giuridiche che pure privilegiano chi può permettersi investimenti finanziari” e rilanciavamo una sfida politica e sociale all’Amministrazione stessa che riguardava tutti gli spazi sociali milanesi a rischio di sgombero o abbandono: “…riconoscere come “Bene comune” questi spazi, riconoscere il loro valore sociale, la loro “redditività civica”. Non dovrebbe essere semplicemente  una scelta amministrativa, quanto il riconoscimento della necessità di questi spazi sul territorio. Necessità non per chi li “gestisce”, ma per le migliaia di persone che partecipano, abitano, usufruiscono di servizi e sostegno da questi spazi.”

L’Amministrazione Comunale non sembra in alcun modo interessata a sperimentare nuove strade di valorizzazione sociale di spazi non abbandonati ma fatti vivere in questi anni – e ancora oggi attivi nella solidarietà alle tante persone in difficoltà a causa dell’emergenza per il Covid 19 anche in questa seconda ondate.

L’unica soluzione è quella di vendere, fare cassa, senza confrontarsi seriamente – altro che dialogo con gli spazi; altro che “riconoscere che alla fine parliamo di spazi sociali che forniscono una produzione culturale alternativa, un’ aggregazione a basso costo, svolgono una funzione molto contemporanea”, come ha dichiarato il Sindaco Sala.
Ancora una volta parole al vento. Parole vuote di un’amministrazione indisponibile ad ascoltare le necessità e le progettualità che arrivano da questi territori e da questi spazi, nonostante siano arrivati attraverso quei canali istituzionali che il sindaco stesso indica come gli unici possibili.
Se non si può discutere seriamente del futuro e della tutela di queste esperienze solidali e autogestite, tanto di valore per l’amministrazione, neanche partecipando formalmente e correttamente a un avviso pubblico, che cosa bisogna fare?

Per neanche un minuto l’amministrazione si è davvero preoccupata non solo di tutelare ed evitare la cancellazione delle esperienze degli spazi recuperati, ma anche di come non condannare a chiusura certe associazioni, presenti in spazi di proprietà comunale, che sono attive sul territorio da decenni, e che per la crisi attuale non sono più in grado di sopravvivere.
La giunta Sala vive di una normalità della mercificazione e della svendita dei beni pubblici anche in questa situazione eccezionale. E noi abbiamo sempre pensato che è questa normalità ad essere il problema.

Per quanto ci riguarda continueremo a portare le nostre proposte in ogni sede, istituzionale e non. E lo faremo insieme alla rete degli spazi sociali e liberati, che in questi giorni è stata impegnata in tante iniziative – sia di mobilitazione (come il Presidio del 4 novembre davanti a Palazzo Marino per Reddito-salute-istruzione e la nostra partecipazione alla mobilitazione online “Per una società della cura” di sabato 21 novembre) che di solidarietà concreta e diffusa in tutta la città.
Pretendiamo che ci sia una risposta formale all’avviso pubblico e alla nostra manifestazione d’interesse, e che si apra un tavolo di confronto pubblico tra l’amministrazione e tutte le realtà di autogestione, solidarietà e mutualismo interessate da queste minacce e che rischiano di essere cancellate da questa situazione.

Difendere gli spazi autogestiti per noi non è garantirci una sede privata, quanto aprirsi alla progettazione sociale e popolare, proprio quella che l’Amministrazione sembra aver deciso di evitare.
Per noi sono i Beni Comuni e le pratiche di autogestione dal basso che indicano le uniche vie per una città alternativa, fondata sulla cura reciproca e sulla risposta collettiva ai bisogni sociali.

 

Beni Comuni contro il vero disuso

16 settembre 2020

Disuso: Stato di abbandono causato da un cambiamento generale di indirizzo.

Ogni persona ha nella mente e nel cuore una sua città, un suo modo di vivere la metropoli milanese. Per molte/i è purtroppo anche un modo di non viverla, di non poterla vivere fino in fondo, perché mancano le risorse per poterlo fare.

Risorse materiali – lo sappiamo benissimo – ma spesso anche risorse culturali e sociali. Perché è la stessa struttura urbana a differenziare, a dividere, a costruire cittadine e cittadini costretti a vivere zone della città abbandonate, o comunque molto poco considerate dalle grandi istituzioni culturali e sociali.

Potremmo definirle zone in disuso, se volessimo utilizzare la lingua delle burocrazia….

In moltissime di queste zone, dentro la cerchia dei confini cittadini come nell’hinterland metropolitano, sono nate importanti esperienze culturali, sociali, politiche, solidali – esperienze autogestite, costruite sull’autofinanziamento, sulla gratuità o comunque sul rifiuto della logica di mercato per cui può sopravvivere solo chi ha “i mezzi” per farlo.

Non sono necessariamente spazi recuperati o “occupati” (noi preferiamo chiamarli “liberati”, ovvero liberati dall’abbandono): a volte sono stati presi in affitto, in concessione, in convenzione – scommettendo sulla possibilità di ripagarne i costi (e magari anche il lavoro di qualcuna/o) attraverso la partecipazione e la socializzazione di iniziative popolari.

Dopo i mesi della chiusura e dell’emergenza ci ritroviamo a fare i conti con il rischio concreto della perdita di moltissimi di questi spazi. Pensiamo a realtà come La Scighera, al circolo Ohibò, alla Casa delle Donne di Milano. E pensiamo a spazi recuperati come Lambretta, Cascina Torchiera, Ri-Make Bene Comune, alcuni persino recentemente sgomberati e a cui va tutta la nostra solidarietà, come nel caso del Lock (sgomberato nonostante fosse base, tra le altre cose, delle brigate di solidarietà).

Non si tratta solamente di fare i conti con i costi economici e la mancanza di entrate durante i mesi di “inattività”, ma anche con il ritorno della città che non si ferma, con scelte amministrative che sembrano contradditorie. Contradditorie rispetto alle stesse possibilità regolamentari e giuridiche che pure privilegiano chi può permettersi investimenti finanziari.

Pensiamo ad esempio alla possibilità di riconoscere come “Bene comune” questi spazi, riconoscere il loro valore sociale, la loro “redditività civica”. Non dovrebbe essere semplicemente una scelta amministrativa, quanto il riconoscimento della necessità di questi spazi sul territorio. Necessità non per chi li “gestisce” ma per le migliaia di persone che partecipano, abitano, usufruiscono di servizi e sostegno da questi spazi.

Abbiamo accennato all’“inattività” causata dal lockdown: molte attività sociali e culturali di questi spazi – accessibili a ogni forma di pubblico, sempre vissute collettivamente – in quei mesi si sono dovute fermare.

Ciononostante, tutti questi spazi sono stati il centro di vecchie e nuove attività di solidarietà, mutuo soccorso, aiuto alle persone più fragili. Senza aspettarsi nulla, perché è stata una scelta naturale, conseguente a valori e principi su cui si fondano queste esperienze.

Altro che inattivi. Mai stati così necessari, efficaci, epicentri di relazioni che durano ancora dopo l’emergenza.

Oggi questi spazi vanno difesi, non perché pensiamo vada “premiata la generosità” o perché la solidarietà chiede qualcosa in cambio. Vanno difesi perché sono una parte fondamentale della metropoli, sono il corpo, l’anima e l’intelligenza di una città che non può più permettersi di vivere su logiche di profitto e meccanismi di mercato. E questo non solo per ragioni sociali o economiche ma prima di tutto ecologiche.

Sono spazi che non chiedono un “aiuto pubblico” quanto la possibilità di poter continuare ad essere bene pubblico, luogo di relazioni e di ascolto, di mutuo aiuto e cura reciproca, di partecipazione dal basso e aperta a tutta la cittadinanza.

Ri-Make in questi due anni nei quali ha recuperato uno spazio abbandonato, in disuso – perché economicamente il liceo Omero non era più conveniente – ha cercato di lavorare sulla costruzione materiale di bene comune. Lo ha fatto concretamente, con le sue attività solidali, culturali, mutualistiche; e lo ha fatto con la proposta e la disponibilità al confronto, alla vertenza.

Come dicevano le/gli zapatiste/i, “Todo para tod@s, nada para nosotr@s” – Tutto per tutte/i, niente per noi. Non ci interessa il riconoscimento di un collettivo, di un gruppo di attiviste/i. Ci interessa poter continuare ad accogliere, ad aprire lo spazio alla partecipazione, a coinvolgere soprattutto generazioni che vogliano esprimersi, vivere i loro sogni, condividere i propri desideri, conoscere i propri diritti e costruirne di nuovi.

La ricchezza politica, culturale e sociale di questi spazi non deve essere solo riconosciuta, ma protetta, emancipata e diffusa. Consapevoli che da un punto di vista ecologico tali pratiche di comunità non sono solo necessarie, ma saranno sempre più le uniche possibili per “fare città”.

Per noi questo è proprio quello che chiedono anche Scighera, Lambretta, Torchiera, Casa delle Donne e i molti altri spazi e progetti alternativi presenti in questa città.

Ogni spazio con la propria esperienza e le proprie caratteristiche ma con qualcosa in comune: essere beni comuni che la metropoli non può perdere.

Questa la nostra sfida, la nostra lotta, la nostra proposta.

Beni Comuni o in vendita?

13 giugno 2020

???? Beni comuni o in vendita? ????

Abbiamo appreso come molte e molti sabato scorso della #novità arrivata dal Comune di Milano nel pieno di questa fase 2.
Leggiamo prima da un articolo su La Repubblica e poi direttamente su una news del sito del Comune (https://www.comune.milano.it/-/demanio.-avviso-pubblico-per…)
che “La Giunta ha approvato la delibera in cui sono individuati 25 beni in disuso – aree ed immobili di proprietà comunale non più utilizzati – che saranno oggetto di un avviso di interesse pubblico.”. Il piccolo particolare è che tra questi immobili “in disuso” ci sono la Cascina Torchiera senz’acqua in piazza Cimitero Maggiore, autogestita da più di vent’anni, e l’ex liceo Omero di via del Volga 4 recuperato grazie ai progetti di Ri-Make. E restiamo particolarmente colpite/i vedendo che l’immagine a corredo di questo comunicato stampa è proprio quella del primo giorno in cui, dopo aver apposto ai cancelli della scuola lo striscione “Riapriamo Ri-Make”, ci siamo messi a raccogliere i calcinacci, igienizzare i locali, tagliare l’erba dei prati, dopo una grande corteo solidale per lo sgombero dell’EX BNL di via Astesani avvenuto il giorno stesso. Riaprivamo quella scuola per aprire un nuovo luogo di #solidarietà, #mutuosoccorso, una nuova casa per i progetti già esistenti di Ri-Make ma soprattutto un nuovo spazio aperto ai #bisogni sociali del quartiere e della città.

???? Ci abbiamo messo un po’ a pensare a come rispondere a questa notizia.
Eravamo prese e presi tutti i giorni e tutto il giorno dalle decine di chiamate e richieste che continuano ad arrivare al centralino del nostro sportello solidale “#NonSeiSola, #NonSeiSolo”. Moltissime di queste richieste ci sono state inoltrate proprio dal centralino del Comune di Milano per l’Emergenza, il famoso 020202. Da tre mesi a questa parte ogni giorno ci dedichiamo a costruire risposte #solidali, reciproche e collettive, per quelle persone che hanno bisogno di ricevere la #spesa a domicilio, di aiuto per il #reddito e il lavoro, che non riescono a pagare l’#affitto, che non hanno un #computer per la didattica a distanza dei figli e hanno bisogno di qualcuno che si prenda #cura di loro mentre lavorano.

???? Stranamente in tutti questi mesi di lavoro #mutualistico che come tante altre realtà della città abbiamo portato avanti arrivando dove spesso non poteva arrivare lo stesso Comune di fronte alla #pandemia, nessuno ha avuto il tempo di contattarci per discutere di questa importante novità sull’ex liceo Omero, ma solo di affidarci la gestione di situazioni di emergenza che il Comune non sempre sarebbe stato in grado di affrontare.
Contattarci dopotutto non sarebbe stato così difficile, dato che è esattamente da due anni che abbiamo aperto un percorso di discussione con il Comune di Milano sul riconoscimento dell’ex liceo Omero di via del Volga 4 come Bene Comune, utilizzando il #regolamento approvato dalla giunta in merito l’anno scorso (https://www.comune.milano.it/…/e429814f-20bd-b311-a542-8029…).

Dopo due anni di incontri con gli assessori competenti per l’applicazione di questo regolamento e dopo diverse perizie tecniche, attendevamo notizie per proseguire il processo.

???? Dunque in realtà il Comune sa perfettamente che in questi due anni la scuola di via del Volga non è più uno “spazio in disuso” e “senza identità” come vengono definiti gli spazi oggetto della delibera dall’assessore al demanio Roberto Tasca, ma è stato rimesso in vita da un percorso di recupero aperto, costruito con le abitanti e gli abitanti del quartiere e della città, che attraverso decine di progetti – mutualistici, cooperativi, culturali, agroecologici, sportivi, artistici, educativi, alimentari, sindacali – sta crescendo come un #BeneComune: uno spazio non basato sulle leggi del mercato ma costruito da chi può dare una mano e chi ha necessità, da chi ha desideri e sogni e li vuole realizzare in solidarietà. Un Bene Comune che sta germogliando e ha mostrato i suoi primi frutti non solo nello splendido giardino di cui ci prendiamo cura con tutta la comunità di Ri-Make ma soprattutto nell’emergenza Covid-19, con le attività dello sportello “#NonSeiSola, #NonSeiSolo” che hanno attivato una rete di centinaia e centinaia di persone che risponde ogni giorno all’#emergenza con il #mutuosoccorso.

Ci chiediamo dunque qual è la scelta del Comune con questo nuovo avviso pubblico, di cui attendiamo di leggere il testo dettagliato.

???? Si tratta di un passo che va incontro alle rivendicazioni e proposte costruite (non solo da noi) in questi anni per un cambio di politiche nella gestione degli immobili abbandonati di proprietà comunale? Una strada che vada oltre la svendita ai privati o i limiti evidenti della concessione via bandi, ma che riconosca le esperienze e le possibilità dell’autogestione e della partecipazione diretta di cittadine e cittadini?
Ci sorgono alcuni dubbi, per usare un eufemismo, sulla possibile risposta, viste le ulteriori dichiarazioni sempre dell’assessore Tasca: “Per troppi anni il Comune ha dovuto rinunciare a valorizzare il patrimonio dismesso sparso per la città.”
E sul termine “#valorizzare” che ci sembra di intravedere quelle politiche fatte di vendita degli immobili per risanare i debiti delle casse comunali, strategia che l’assessore Tasca ha più volto dichiarato a mezzo stampa.
Pensiamo che in giro per la città e per il paese ci siano invece esperienze che hanno proposto, nella pratica, un altro tipo di “valorizzazione”: recuperare e riutilizzare spazi abbandonati fondandoli sui valori d’uso – cioè sul valore che questi hanno per rispondere ai nostri bisogni – e non sui valori di scambio – ovvero sul prezzo imposto da chi vende per trarne un guadagno personale – ha permesso di costruire progetti sociali e culturali impagabili per chi vive i quartieri e attraversa questi luoghi, ma anche per le stesse amministrazioni comunali.

⭕️ Vorremmo sbagliarci e pensare che forse siamo troppo dubbiose/i. E per farlo vorremmo avere un incontro con l’amministrazione e gli assessori che stanno costruendo questo avviso pubblico per affrontare pienamente questo “dubbio”: il Comune vuole svendere i beni pubblici e trasformarli in proprietà privata o riconoscerli come Beni Comuni che arricchiscono l’intera comunità che se ne prende cura? La Giunta pensa di cancellare proprio adesso le esperienze solidali e autogestite che hanno risposto all’emergenza Covid-19 anche nei quartieri in cui il servizio pubblico non è stato in grado di arrivare? Pensa di smantellare le uniche forme di accesso al reddito, all’alimentazione sana, all’educazione, alla tutela legale che esistono ai margini di questa città?

???? Come ogni mese a prendersi cura di tutti questi progetti è l’Assemblea Ri-Make Bene Comune, che si riunirà per la prima volta dopo tre mesi di nuovo dal vivo questa domenica 14 giugno alle h.15.00 per la riapertura dello spazio con Ri-Make riapre! Mercatino agricolo e giornata insieme. E’ composta da abitanti del quartiere, da chi costruisce quotidianamente i progetti solidali nello spazio, dai/alle volontari/e e dello sportello “Non sei sola, non sei solo” e dalle persone che hanno chiesto supporto, e lo faremo con chiunque altro/a voglia partecipare.

Sarà lì che proveremo a rispondere insieme e in solidarietà a queste “novità”, e intrecciando poi le nostre riflessioni con quelle della comunità di Cascina Torchiera (qui la loro “chiamata alle arti!”: https://torchiera.noblogs.org/2020/torchiera-sotto-attacco/ ).
Lo faremo in modo pubblico e trasparente e in luoghi in cui tutte e tutti possano prendere parola.
Perché un #BeneComune funziona (già) così.