La piccola bottega degli orrori – 2/10

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CineCaveau inaugura la rassegna dedicata al cinema indipendente e autoprodotto con la proiezione de “La piccola bottega degli orrori”:


Il film venne realizzato nel 1960 da Roger Corman, con uno dei budget più economici della storia del cinema, di appena 30.000 dollari, girato in appena tre giorni con una scenografia già esistente, affidando la parte di uno dei protagonisti all’allora sconosciuto Jack Nicholson. La piccola bottega degli orrori è la storia di un ingenuo e ambizioso commesso del negozio di fiori Mushnik, in un sobborgo umido e malfamato di New York. Seymour (Jonathan Haze) è un appassionato di botanica ma soprattutto di piante strane, come quella trovata un giorno per caso al mercato da un vecchio cinese, da lui ribattezzata ‘Audrey 2’, in onore della sua collega Audrey, di cui è segretamente innamorato, anche se la ragazza è legata al violento dentista Orin. La bizzarra piantina – “la pianta non identificata più stupefacente d’America” – attira molti nuovi clienti al negozio di fiori, che sembrava ormai sull’orlo del fallimento, ma lo strano vegetale comincerà ben presto a manifestare ingordi appetiti antropofagi… la pianta può infatti realizzare tutti i desideri di Seymour, ma a patto che le sia garantita una congrua dose di sangue umano.


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Rassegna cinema indipendente:

– 2 ottobre – “La piccola bottega degli orrori” R.Corman (1960)

– 30 ottobre – “Shadows” J.Cassavates (1959)

Girato con uno stile jazzistico, con dialoghi e scene improvvisate (il film si chiude con la scritta: «The film you have just seen was an improvisation»), la pellicola tratta il tema delle relazioni interrazziali negli anni della Beat Generation a New York.

trailer : http://www.youtube.com/watch?v=VZx-I0wJ_8s

– 20 novembre – “Arrebato” I.Zuleta

Arrebato è un film spagnolo del 1980, scritto e diretto da Iván Zulueta. Il film, considerato il più famoso cult movie del cinema spagnolo, è un prodotto della Movida madrileña. Al centro della storia del film vi sono due registi: Josè, autore di pellicole horror e Pedro, ossessionato dal filmare ciò che lo circonda, allo scopo di cogliere l’intima essenza delle sue riprese.

trailer : http://www.youtube.com/watch?v=QjG-5LL2wf4

– 18 dicembre – “Festen” T.Vinterbergh (1998) + “Idioti” L.Von Trier (1998)

Dogma#1 e Dogma#2 non c’è altro da aggiungere

trailer : https://www.youtube.com/watch?v=f5UozqwA3KY

trailer : https://www.youtube.com/watch?v=sWaPAQwDS5s

22 gennaio (2015) – “5 broken cameras” E.Burnat, G.Navidi (2013)

Il contadino palestinese Emad, alla nascita di suo figlio Gibreel, acquista la sua prima videocamera. Nel villaggio di Bil’in è in costruzione una barriera di separazione e gli abitanti insorgono. Emad decide di improvvisarsi giornalista e filma la lotta per oltre cinque anni. In tutto utilizzerà cinque videocamere, andate via via distrutte dalla guerra e dai raid notturni.

trailer : https://www.youtube.com/watch?v=q_93nOqwmhU

– 19 febbraio (2015) – “Il re della terra selvaggia” Behn Zeitlin (2012)

Il film racconta la storia di Hushpuppy, una bambina di sei anni che vive, assieme al padre Wink, in una comunità bayou chiamata “Bathtub”, nelle paludi nel profondo sud della Louisiana, denominata anche “grande vasca” per le continue alluvioni che avvengono in quella zona a causa dei cicloni. Opera prima del regista Benh Zeitlin, è stato girato con una piccola troupe e l’aiuto di decine di residenti locali che hanno formato il cast del film

trailer : https://www.youtube.com/watch?v=R4JLsGXxJLI

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Rassegna Cinema e Lavoro:

16 ottobre – “La cecilia” J.L.Comolli (1976)

E’ il 1887 in Brasile. A un gruppo di circa dodici anarchici italiani è stato concesso un pezzo di terra dall’Imperatore. Lo scopo è un esperimento di vita in comunità chiamato “La Cecilia”. E’ un film su problemi contemporanei: l’organizzazione, il ruolo della coscienza rivoluzionaria, la sessualità e la famiglia

– 6 novembre – “The Help” T.Taylor (2011)

Anni ’60, lotte per i diritti civili, sullo sfondo c’è il Mississippi e il razzismo che è apartheid sin dai cessi delle case in cui le donne nere facevano servizio. Un cesso per i bianchi e uno per i neri.

trailer : https://www.youtube.com/watch?v=WbuKgzgeUIU

– 4 dicembre – “Fuga dal call-center” F.Rizzo (2009)

Il film racconta la vita e le vicende sentimentali di Gianfranco, giovane precario appena laureato con lode in vulcanologia, che però finisce a lavorare in un call center, e Marzia, costretta a lavorare come centralinista in un telefono erotico per mantenersi agli studi. Il film nasce da una lunga inchiesta documentaristica in giro per l’Italia con la raccolta delle testimonianze dei lavoratori nei call center, trailer : https://www.youtube.com/watch?v=Tdcv2v08QAk

– 8 gennaio (2015) – “Sangue Verde” A.Segre (2010)

Girato tra Rosarno, Caserta e Roma, il film propone un resoconto di quei giorni e di quelli che seguirono raccogliendo le voci di alcuni migranti che hanno vissuto gli scontri in prima persona. Tutti raccontanto, dal loro punto di vista, cosa è successo in questi giorni e dal loro punto di vista e descrivono com’era, e com’è ora, la loro vita in Italia.

trailer : https://www.youtube.com/watch?v=L88MWcUcEvY

– 5 febbraio (2015) – “Il posto” E.Olmi

Il mito agognato del posto di lavoro a tempo indeterminato, tipico di quell’epoca lontana, è descritto benissimo dal regista, che riesce a farlo apparire per quello che poi filosoficamente è: un traguardo ambito, un punto di arrivo e di partenza, ma anche una vera tortura, un inferno miserissimo.

trailer : https://www.youtube.com/watch?v=iYJwm4DlKU0


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Chiunque in questi ultimi anni abbia scelto un’occupazione nell’ambito cinematografico, o per qualsiasi ragione di operare al suo interno o sia semplicemente consapevole di cosa significhi farne parte, è anche a conoscenza delle criticità strutturali che lo affliggono: il ristagno produttivo, l’estrema difficoltà nel reperimento di finanziamenti per la produzione e di canali per la distribuzione (soprattutto per quanto riguarda la cinematografia indipendente), il corporativismo delle categorie professionali, la precarietà cronica degli impieghi.

Ad una serie di questioni connesse al mondo del cinema come industria e mercato del lavoro, si lega inoltre un non indifferente fattore culturale, dato dalla sistematica standardizzazione delle produzioni, vincolate indissolubilmente alle esigenze del mercato e del cosiddetto “spettatore medio”, che rendono impossibile la trasmissione di contenuti e linguaggi estranei a determinati parametri e tarpano le ali al dibattito culturale e politico che si era riusciti a creare in passato intorno al mezzo cinematografico come veicolo di storie, idee, sperimentazioni linguistiche e critica sociale. Inutile specificare come le suddette dinamiche dominino l’industria cinematografica quanto quella televisiva e le più svariate forme della comunicazione audiovisiva in generale.

La formazione all’interno dello spazio di Ri-Make di un collettivo che si occupi specificatamente di cinema e linguaggi audiovisivi nasce dall’esigenza di poter operare in un contesto politico e culturale in cui sia possibile affrontare queste discipline secondo una modalità condivisa, autogestita e libera, accessibile a chiunque ne sia desideroso, con l’obbiettivo di proporre un’alternativa sul fronte produttivo e culturale alle logiche del cinema e della comunicazione audiovisiva istituzionali.
In termini pratici il progetto cinematografico si struttura in tre punti:
l’organizzazione a Ri-Make di una serie di proiezioni tematiche;
la creazione di un gruppo di autoproduzione cinematografica dedicato alla realizzazione di film, documentari ecc., che provi anche a riflettere su cosa significhi opporsi al modello produttivo vigente;
la creazione di un laboratorio di autoformazione per l’apprendimento degli elementi di base, da un punto di vista teorico e pratico, del linguaggio cinematografico e audiovisivo da utilizzare anche come terreno di confronto e discussione sull’argomento.

I tre progetti sono legati alle prospettive e ai temi di cui si occupano i collettivi di Ri-Make e in senso più ampio i soggetti che collaborano nello spazio: in questa prima fase è stato scelto di inaugurare le rassegne tematiche con un ciclo di proiezioni sul tema del lavoro e parallelamente un altro sulla nascita e lo sviluppo del cinema indipendente; fra le prime autoproduzioni è in fase di discussione un documentario sulla Ri-Maflow, la fabbrica a Trezzano sul Naviglio occupata dagli operai dopo la chiusura, che da più di un anno sta sperimentando forme di autogestione e autoreddito e che sta fornendo supporto alle iniziative di Ri-Make. Inoltre sono in progetto una serie di videoinchieste legate al progetto di Epicentri Precari, lo strumento con il quale il collettivo propone una narrazione del mondo del lavoro dal punto di vista dei soggetti che ne sono coinvolti e con i quali si intende creare un terreno di confronto, formazione e sostegno alle lotte nei più vari ambiti: studenti e studentesse lavoratori/lavoratrici, migranti, donne, lavoratori del settore manifatturiero, lavoratori precari in genere ecc…


Con questo comunicato, proviamo a condividere un progetto all’interno di Ri-Make aperto a chiunque desideri partecipare come fruitore delle iniziative del collettivo cinematografico o costruirle insieme. Il collettivo cinematografico si riunisce tutti i giovedì alle 18, ed è aperto alle proposte e alla partecipazione attiva di tutti/e.

Blocchi #nocanal verso il corteo #expofamale

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Questa mattina attivisti della rete NoExpo e comitati NoCanal ‪hanno bloccato dall’alba i cantieri della via d’acqua‪ di Expo 2015, in via Muttoni e via Bolla.

Volantinaggi e un ingresso nel cantiere di via Muttoni per “adornare” la ruspa Maltauro lasciata abbandonata, hanno anticipato un presidio a gambe incrociate di blocco all’ingresso del secondo cantiere, dove i mezzi movimento terra di Maltauro e a2a erano pronti ad uscire protetti dalla polizia schierata in forze.
Insieme abbiamo ribadito il NO al progetto che vorrebbe sventrare 4 parchi della cintura ovest, in attesa di un briciolo di trasparenza e chiarezza dalla governance (comune, regione, expo spa) sulla grande truffa del canale di Maltauro.

Colpire la via d’acqua significa inceppare la materialità di Expo; e inceppare la materialità di Expo significa inceppare anche i processi che dietro il grande spettacolo del mega-evento si nascondono e che avanzeranno feroci anche oltre: precarizzazione e sfruttamento della forza-lavoro; indebitamento collettivo; riprogettazione della città e del territorio secondo le volontà dell’alta finanza e dell’agroindustria; abbandono delle periferie, delle persone e dei nuclei familiari senza una casa o morosi a causa di gravi condizioni economiche.

In un momento in cui l’attacco è generalizzato e le lotte si intrecciano su più piani, il blocco di un cantiere del canale di scolo del sito Expo parla anche il linguaggio più vasto dell’opposizione sociale al tempo della crisi. E viceversa: noi siamo uno.
Per questo rilanciamo l’appuntamento SABATO 11 OTTOBRE, h15, piazza Duca d’Aosta (Stazione Centrale) della manifestazione Expo Fa Male!

Rete Attitudine NoExpo

Per un nuovo manifesto femminista queer

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Siamo singole e collettivi di donne e lgbit appartenenti alla rete CommuniaNet che hanno animato le mobilitazioni e le reti di genere che ci sono state quest’anno in Italia, nate anche sotto la spinta dei movimenti europei su autodeterminazione, diritto all’aborto, sanità pubblica, come YO DECIDO in Spagna.

Lo stato di attacco che subiamo tutti i giorni ci accomuna alle mobilitazioni europee, ma le lotte italiane non hanno saputo produrre un movimento di rivendicazione unitario e sono state frammentarie e sparse sul territorio nazionale, incapaci di costruire una piattaforma comune. Nonostante questo crediamo che le lotte intraprese racchiudano in sé un grande potenziale, in quanto sono il frutto di un rinnovato interesse verso le questioni di genere, da parte di nuovi collettivi politici, intellettuali, artisti e singole. Pensiamo che siano propizi i tempi per aprire un confronto tra le diverse esperienze, le molte pratiche e le varie organizzazioni, volto alla riscrittura di una teorizzazione e pratiche politiche condivise capaci di rispondere alle esigenze dei tempi moderni: un dibattito che sappia tenere dentro sia le teorie femministe che queer, che sappia prendere spunto sia dalle esperienze passate che dalle critiche emergenti e che coinvolga tutti le attrici che si mobilitano per cambiare lo stato di cose presenti.

Communia Network è una rete politica e sociale, fatta di idee che spingono alla costruzione di nuove pratiche e di un nuovo lessico politico, consapevole che questo processo è impossibile senza la messa al centro delle istanze di genere.

Per questo abbiamo deciso di dedicare parte del programma del CommuniaFest ad affrontare questi temi: una mattinata di confronto e di discussione aperta alle e ai militanti della rete Communia, alle singole e ai collettivi nazionali che vorranno discutere con noi l’eventualità di aprire una discussione che mira a rilanciare una riflessione femminista queer comune, in grado di spiccare nel dibattito attuale per differenza di metodi e di contenuti.

Quello che ci interessa analizzare è da un lato l’orizzonte all’interno del quale si formano i soggetti, cioè il capitalismo contemporaneo e il modo in cui questo agisce sulle vite delle donne e delle persone lgbit, il modo in cui trasforma le relazioni di genere e quello in cui coopta i nostri discorsi e le nostre lotte e impone norme vecchie e nuove; dall’altro i processi concreti di soggettivazione. Ci interessa porre e affrontare quesiti quali: come ripensare alla classe contemporanea attraverso il genere? Cosa vuol dire lotta di classe o antagonismo di classe, se il genere diviene centrale e non periferico? Come costruire un’analisi e una lotta che si articolino fra femminismo, rivendicazioni lgbit e queer, che guardino al genere come una costruzione sociale da mettere radicalmente in discussione, ma senza perdere di vista i rapporti di potere e dominio che si strutturano all’interno di questo sistema? E’ possibile in quest’ottica definire la messa a valore del genere nell’ambito lavorativo e nello specifico nella condizione di precarietà? a partire da ciò è possibile definire diritti dei lavoratori e un welfare che vadano oltre una concezione dicotomica? Cosa vuol dire criticare la norma sessuale e di genere, ma partire dalla rivendicazione di un’identità e di una soggettività oppressa come premessa di lotta? Che vuol dire emancipazione e libertà in questo contesto?

Abbiamo la consapevolezza che riuscire a sviscerare gli argomenti sopra proposti sarà possibile solo con un percorso lungo. Questa giornata vuole essere solo un primo momento di confronto per lanciare un percorso con tutte le soggettività che vorranno farne parte, perché vogliamo che la riscrittura di un manifesto che qui lanciamo sia fin dai suoi albori un processo collettivo e condiviso. Quindi il programma proposto verterà su alcune tematiche generali che pensiamo siano parte integrante del dibattito che da questa giornata vorremmo lanciare.

Vi invitiamo quindi sabato 20 settembre c/o Communia, via dello Scalo san Lorenzo 33, Roma.

Di seguito il programma:


– ORE 9:30: Plenaria di introduzione e presentazione del progetto

Introduce Cinzia Arruzza, autrice di Relazioni Pericolose. Matrimoni e divorzi tra marxismo e femminismo; Assistant Professor of Philosophy alla New School for Social Research a New York.

– ORE 10:00: workshop

Ricostruire il comune queer – L’introduzione sarà a cura di Cesare Di Feliceantonio, militante di QueerLab e Degender Communia, dottorando presso l’Università di Roma Sapienza

Completamente schiacciata dalle rivendicazioni sul matrimonio e l’accesso ai diritti di cittadinanza, la politica LGBT mainstream ha rimosso l’importanza politica e pubblica delle relazioni e della sessualità confinandole nella sfera del “privato” e delle “scelte e libertà individuali”, sposando così appieno l’ideologia neoliberista che separa e mette a profitto “vita pubblica” e “vita privata”. Scopo del workshop sarà quindi quello di ridiscutere la necessità di rimettere al centro le relazioni come spazio comune di costruzione di un’alternativa dal basso alla messa a profitto di corpi e desideri da parte della governance neoliberista. In questo senso, nel corso del workshop cercheremo di recuperare e combinare assieme stimoli provenienti tanto dalla teoria queer quanto dalla politica di liberazione sessuale degli anni ’70, situandoli però nell’orizzonte materiale degli spazi di autorganizzazione che costruiamo quotidianamente.


Come il genere viene messo a valore
– Angelita Castellani, militante femminsta e ricercatrice ISTAT e collettivo femminista Degender Communia (Roma)

Il capitale sussume oggi il lavoro femminile, utilizza le cosiddette capacità di cura delle donne come surrogato del welfare e dei servizi demoliti e in via di demolizione, dall’altro lato mantiene in vita arcaismi ideologici e le opposizioni che gli servono a esercitare il dominio. Le differenze di genere esistenti sono il frutto di processi storici e politici che le hanno sfruttate per creare l’attuale sistema. Il movimento femminista ha da sempre avuto difficoltà a inserirsi a pieno titolo all’interno del movimento dei lavoratori in quanto le rivendicazioni generali sono sempre state asessuate – maschili – mentre quelle delle lavoratrici esclusive delle donne, portando alla “soluzione” per cui i diritti delle lavoratrici sono stati definiti solo nell’ambito ristretto della maternità. E’ possibile definire i diritti che superino la dicotomia uomo-donna? E possibile costruire oggi rivendicazioni che siano generali, consapevoli di tenere dentro quelli che prima erano rivendicazioni particolari?
D’altro canto non possiamo ignorare che dopo un breve periodo di “conquiste lavorative”, si è tornati alla condizione di precarietà tipica del sistema capitalista. Donne e soggetti lgbit sono maggiormente colpiti non solo in ambito lavorativo, ma in tutti gli aspetti delle proprie vite. Precarietà e tagli al welfare attaccano le possibilità di reale emancipazione: la famiglia con i suoi valori, al contrario, viene proposta come unico sistema di sostegno, vincolando la possibilità di indipendenza e di scelta.
Come affrontare, quindi, i ruoli di genere che anche nell’ambito lavorativo ci vengono proposti e imposti dal sistema vigente? Le pratiche queer possono servire per affrontare i mutamenti esistenti nel mondo del lavoro oggi?

Per una lettura femminista e queer della violenza di genere – Diana operatrice del Centro donna Lisa

Viviamo in una società che ci abitua, anestetizza e rende colpevoli di fronte alla violenza: la violenza sulle donne ha origini lontane e trans culturali e il sistema capitalistico la sfrutta a suo favore. Oggi ci troviamo di fronte ad un drastico incremento di donne e soggetti lgbti che subiscono violenza, spesso morendo per questa e tale aumento non è casuale, ma direttamente connesso alla situazione di crisi economico sociale che stiamo vivendo. La violenza vede il suo apice nell’aggressione fisica ma non si limita a questo, è istituzionale; è mobbing sul lavoro; è stalking; è la mancanza di un reddito sociale che permetta alle donne, alle lesbiche, ai gay e alle persone trans* di non potersi rendere indipendenti dalla famiglia, primo luogo di oppressione dei desideri e delle identità che divergono dalla norma imposta. Le politiche di contrasto alla violenza in atto oggi unite alla mancanza di un welfare creano un fenomeno di responsabilizzazione della vittima che non viene tutelata, ma lasciata sola nella spirale di violenza. Pensiamo che sia necessario produrre un analisi che non si fermi al dato ma che legga la violenza sui soggetti oppressi come direttamente connessa alla situazione politica, economica e sociale, che sappia tenere insieme una lettura femminista e queer.

Omonazionalismo e femonazionalismo: nuove forme di imperialismo e di oppressione – Marie Moise (collettivo femminista e LGBIT Le Lucciole) e Nadia De Mond

In un’ ottica di scrittura di un manifesto femminsta e queer, non possiamo esimerci dall’analizzare la complessità migrante, e la sua dinamica di relazione con i fondamenti simultaneamente imperialisti razzisti e sessisti della società occidentale contemporanea. Comprendere dunque chi siano oggi i/le migranti in Italia deve ripartire da una rilettura di genere di del rapporto tra tale soggettività ed il contesto politico-sociale europeo, oltre che da una rilettura di genere di tale soggettività in sé.
I meccanismi di sfruttamento e gestione del lavoro migrante infatti, sottoposti ad un processo di sistematica femminilizzazione, sono alimentati da una costante produzione ideologica di stampo razzista e xenofobo, che arriva a strumentalizzare i movimenti femministi e lgbit nell’ottica di produrre una gerarchia socio-economica e di perseguire, sotto nuove forme, la dominazione neoimperialista.
La negazione di diritti ai soggetti migranti, ricalca cosi da una parte il modello di oppressione patriarcale a cui storicamente si sono opposti i movimenti femministi europei, e dall’altra sussume il discorso emancipatorio per nominare e definire il nuovo escluso, o meglio, la nuova esclusa.

– ORE 12:30: Plenaria conclusiva di restituzione dei workshop … è possibile lanciare il percorso per un manifesto queer e femminista?