Ri-Make vive ancora!

L’esperienza di Ri-Make, spazio autogestito aperto al quartiere e ai bisogni di socialità, cultura e buona politica – nato il 18 giugno scorso nei locali dell’ex Cinema Maestoso – non è morta con lo sgombero di martedì scorso.

Certamente lo sgombero ha riportato il buio nella sala dell’ex Maestoso, il vuoto (di persone, idee, proposte, relazioni…) è tornato a regnare sovrano, il degrado urbano ha riaffermato le sue ragioni e il suo dominio. Nella città dell’Expo2015 non sembra esserci spazio per realizzazioni indipendenti, autonome, che vogliono contrastare le logiche della speculazione, dell’abbandono, del profitto al primo posto.

La città dell’Expo2015 è fatta per garantire nuove fonti di profitto per gli interessi di immobiliaristi e costruttori, per le banche che rendono possibili le loro incursioni e le loro speculazioni, per Camera di Commercio e Assolombarda in cerca di qualche nuovo affare lucroso, per le mafie che mettono le mani sugli appalti – mentre governo ed enti locali (regione, provincia e comune) si limitano ad oliare i meccanismi di questo “nuovo” governo del territorio costruito su grandi eventi e grandi opere. Un governo del territorio costruito sulla “gestione dell’emergenza”, sulle “deroghe necessarie”, anche in materia di contratti di lavoro – come dimostra l’accordo appena siglato (grazie ai soliti sindacati compiacenti) forme “innovative” di subordinazione lavorativa, sperimentazione di una ancora più diffusa flessibilità e precarizzazione (anche dei tempi di vita).

Le iniziative di protesta contro lo sgombero sono state importanti, anche per la presenza degli altri spazi sociali milanesi – che nelle scorse settimane hanno dato vita alla rete “Occupy estate”, per affermare la volontà di difendere gli spazi sociali e il diritto all’autogestione e all’alternativa culturale. Il presidio che mercoledì si è svolto davanti a Palazzo Marino ha costretto la maggioranza in Comune ad aprire le porte di quella sede istituzionale.

Intendiamoci, non riteniamo la giunta Pisapia direttamente responsabile di uno sgombero voluto dalla proprietà del Maestoso – che preferisce tenerlo vuoto, riaffermando un “diritto” che contrasta con gli interessi e i bisogni del quartiere e della città (d’altra parte, per definizione, la proprietà privata è sempre socialmente irresponsabile).

Volevamo però sentire parole chiare contro gli sgomberi e contro gli sfratti da parte della maggioranza in comune; volevamo una dimostrazione di coraggio in direzione di espropri e recupero sociale di stabili e aree abbandonate; volevamo una decisa iniziativa di ascolto e confronto con i soggetti che, dal basso e in piena autonomia, hanno scelto la via della riappropriazione sociale e dell’autogestione.

Abbiamo apprezzato la scelta della vicesindaco De Cesaris di scendere a discutere con chi manifestava, ma le sue parole non ci hanno convinto: per il momento siamo fermi ai progetti come la sua proposta di nuovo regolamento edilizio e agli “auspici” di una maggiore lungimiranza da parte delle proprietà degli stabili. Non una parola contro gli sgomberi violenti (quella è “legalità”?), nessuna presa di posizione per impedire sfratti e sgomberi, nessuna presa di parola forte in direzione di un recupero sociale di un tessuto urbano consegnato alla speculazione e al cemento – o al semplice abbandono al degrado.

Da parte nostra possiamo affermare con chiarezza che Ri-Make non è stato sconfitto. Intanto venerdì 26 e sabato 27 luglio manteniamo le nostre iniziative previste prima dello sgombero – e le faremo sempre in corso Lodi 39, questa volta “all’aperto”.

E poi torneremo a recuperare uno spazio abbandonato, perché il progetto Ri-Make possa sviluppare tutte le sue promesse e le sue potenzialità.

H 17.30 PRESIDIO A PALAZZO MARINO: GIU’ LE MANI DAGLI SPAZI SOCIALI, #RI-MAKE NON SI TOCCA!

Ieri, dopo un mese dall’apertura, l’ex cinema Maestoso è stato sgomberato. A Ri-Make – così abbiamo chiamato il nostro progetto – potevamo trovare uno spazio comune e condiviso, in un quartiere dove sono stati chiusi tutti i luoghi di socialità e cultura, dove non c’è una biblioteca né una libreria né un teatro e dove anche la piscina comunale sta per essere privatizzata. RiMake, invece, era aperto alla città, agli studenti e alle studentesse, ai lavoratori e alle lavoratrici, che lo costruivano insieme e insieme portavano avanti il progetto, lo ampliavano, facevano vivere uno spazio che per anni era stato inesistente. Il cinema Maestoso, infatti, è stato chiuso sei anni fa perché la proprietà non riusciva più a ricavarne sufficiente profitto e l’unica proposta è stata quella di abbatterlo per farne l’ennesima palazzina, l’ennesima speculazione, senza tenere minimamente conto delle esigenze,dei bisogni e dei desideri di chi questa città e questo quartiere invece lo vive.

Qui stava iniziando un’esperienza nuova, aperta a tutti e tutte, stavamo allestendo un’aula studio serale e domenicale, in una città dove di biblioteche aperte e liberamente frequentabili per tutte e la sera non ce n’è nemmeno una. Stavamo organizzando rassegne di film e di cortometraggi con i ragazzi della scuola civica, concerti, presentazioni di libri, i genitori delle scuole vicine stavano pensando un orto didattico per i bambini. Qui si trovava un collettivo di genere, mentre donne e lgbit hanno sempre meno spazi di libertà e autodeterminazione, a maggior ragione con l’inasprimento dell’austerity e la crisi del welfare. Anche Ri-Maflow, la fabbrica recuperata di Trezzano sul Naviglio, aveva organizzato qui un punto di raccolta di materiale elettrico ed elettronico per portare avanti il suo progetto di recupero ecologico.

Ieri, però, Ri-Make è stato sgomberato, il quarto spazio di cultura e socialità sgomberato a Milano nell’arco di due mesi.
Oggi a Palazzo Marino vogliamo raccontare cos’era questo spazio, che cosa costruiva tutti i giorni, e invece com’è vuoto e nuovamente morto ora.
Portare lì, durante il consiglio comunale, la rabbia di chi è stanco di sgomberi, manganelli e speculazione a fronte di un colpevole e complice silenzio dell’amministrazione comunale.

h 17.30 TUTTI E TUTTE A PALAZZO MARINO: IL FINALE DEL FILM LO GIRIAMO NOI!

GIU’ LE MANI DAGLI SPAZI SOCIALI, #RI-MAKE NON SI TOCCA!

Ri-Make non si ferma!

Ecco la programmazione di oggi.

Martedì 23 luglio

  • ore 17.00: Assemblea pubblica post-sgombero
  • ore 19.00: Partecipazione al presidio NoTav in XXIV Maggio
  • ore 21.00: Proiezione all’esterno del cinema del film L’odio – La Haine di Mathieu Kassovitz

Ri-Make Ex Cinema Maestoso Sgomberato!

Oggi, dopo un mese dall’apertura, l’ex cinema Maestoso è stato sgomberato. A Ri-Make – così abbiamo chiamato il nostro progetto – potevamo trovare uno spazio comune e condiviso, in un quartiere dove sono stati chiusi tutti i luoghi di socialità e cultura, dove non c’è una biblioteca nè una libreria nè un teatro e dove anche la piscina comunale sta per esser privatizzata. RiMake, invece, era aperto alla città, agli studenti e alle studentesse, ai lavoratori e alle lavoratrici, che lo costruivano insieme e insieme portavano avanti il progetto, lo ampliavano, facevano vivere uno spazio che per anni era stato inesistente. Il cinema Maestoso, infatti, è stato chiuso sei anni fa perché la proprietà non riusciva più a ricavarne sufficiente profitto e l’unica proposta è stata quella di abbatterlo per farne l’ennesima palazzina, l’ennesima speculazione, senza tenere minimamente conto delle esigenze,dei bisogni e dei desideri di chi questa città e questo quartiere invece lo vive.

Qui stava iniziando un’esperienza nuova, aperta a tutti e tutte, stavamo allestendo un’aula studio serale e domenicale, in una città dove di biblioteche aperte e liberamente frequentabili per tutte e la sera non ce n’è nemmeno una. Stavamo organizzando rassegne di film e di cortometraggi con i ragazzi della scuola civica, concerti, presentazioni di libri, i genitori delle scuole vicine stavano pensando un orto didattico per i bambini. Qui si trovava un collettivo di genere, mentre donne e lgbit hanno sempre meno spazi di libertà e autodeterminazione, a maggior ragione con l’inasprimento dell’austerity e la crisi del welfare. Anche Ri-Maflow, la fabbrica recuperata di Trezzano sul Naviglio, aveva organizzato qui un punto di raccolta di materiale elettrico ed elettronico per portare avanti il suo progetto di recupero ecologico.

Oggi, però, Ri-Make è stato sgomberato, il terzo spazio di cultura e socialità sgomberato a Milano nell’arco di due mesi. Noi stiamo in strada, non ce ne andiamo. Non ci fermeremo se la polizia cercherà di impedirci di protestare, non ci fermeremo se il Comune continuerà a disinteressarsi della speculazione e della cementificazione selvaggia di questa città, mentre sepre più spazi sono lasciati vuoti o vengono chiusi in faccia alle persone che li vivevano.

Ri-Make non è chiuso, Ri-Make oggi è in strada ed è in presidio permanente.

Ci vediamo tutti all’assemblea delle 17.00.

La cultura non è di proprietà, #Rimake non si tocca.

Prologo

L’elenco è lungo ma necessario. Dalla Grecia alle primavere arabe, all’indignazione spagnola, al movimento Occupy negli Usa passando per le lotte giovanili in Cile, in Canada, in Inghilterra, contro le politiche di austerità in Portogallo e in Israele, contro il regime di Putin in Russia fino alle iniziative di sciopero nelle fabbriche cinesi e indiane, e ancora le rivolte in Turchia e in Brasile: qualcosa sta succedendo. Una domanda di trasformazione continua a salire dal basso dei movimenti, da settori sociali diversi e da nuove generazioni.

I movimenti sono arrivati inattesi. Hanno chiesto e imposto democrazia e trasparenza. Hanno sostenuto l’auto-rappresentanza. Hanno creato nuovi linguaggi e nuovi immaginari. Hanno riscoperto riferimenti storici dimenticati, come la Comune di Parigi e la sperimentazione della democrazia radicale. Hanno privilegiato l’occupazione delle piazze per riappropriarsi di spazi comuni da trasformare, finalmente, in spazi pubblici. Hanno parlato al mondo, anche quando erano esigui, trasformando i social networks in strumenti di comunicazione orizzontale, bypassando le mediazioni organizzative tradizionali. Hanno creato cultura. Rinfocolato la speranza.

Certo, nessuno ha messo in crisi la crisi, nessuno ha fermato le politiche di austerità. Il problema dell’incontro tra il tempo lento dell’organizzazione e quello accelerato dell’evento resta irrisolto. La combinazione tra dimensione politica e sociale rimane incompiuta. Dentro questa ricerca vogliamo muovere i nostri passi trovando la risultante di una difficile equazione.
Le organizzazioni della sinistra radicale italiana sono al loro finale di partita. Parafrasando Beckett : “Finita, è finita, sta per finire, sta forse per finire”. I fatti sono noti. La sinistra è al minimo storico e si dibatte in una crisi senza idee. In Europa la crisi riguarda non solo le forze più riformiste, che sembrano risorgere alleandosi al social-liberismo, ma anche quelle più radicali e anticapitaliste. Lo “tsunami” recessivo sembra aver fatto tabula rasa di ipotesi politiche in parte vecchie e stantie, in parte inadeguate. I nuovi movimenti hanno mostrato le prime tracce di un percorso in fondo al quale disegnare una nuova sinistra a venire, in cui autorganizzazione e democrazia non siano negoziabili o sacrificabili sull’altare di un presunto realismo.

L’autorganizzazione ha un senso se si connette agli attuali percorsi di soggettivazione politica. Con tempi e forme dettati da una specifica composizione sociale e di classe, da indagare meglio, senza il rischio di ridursi a una palestra di democrazia diretta. Due sono le concezioni dell’autorganizzazione che mimano un’astrattezza paralizzante. La prima la colloca solo nei momenti alti della lotta di classe, quando si mette in gioco la legittimità del potere; l’altra, invece, la banalizza in una qualsiasi forma di aggregazione separata da partiti, sindacati, associazioni. Favorire la nascita e l’affermazione di strumenti per l’autorganizzazione richiede, invece, la capacità di leggere le situazioni di conflitto sotto la luce della soggettivazione di classe. Bisogna modificare i giochi di ruolo nelle strutture sindacali più o meno di base; vedere i movimenti dei settori di classe attiva oltre le storie e le tradizioni; cogliere i momenti di politicizzazione delle lotte studentesche; sperimentare forme di contropotere e socializzazione non dominata dalle merci. Favorire i salti improvvisi nell’accumulo di coscienza, sapendo viaggiare con bagagli leggeri ma essenziali.

Non esistono modelli né strumenti per tutte le stagioni. E’ su questo che si gioca il futuro: se la mancanza di modelli apre la strada a una serie di opportunità da sperimentare, non si deve sottovalutare la necessità di dare un’identità politica a tali sperimentazioni. Tuttavia l’identità non è data una volta per tutte, è un processo aperto che richiede posizionamenti, analisi e attivazione di conflitti.
Il capitalismo è un sistema in perenne trasformazione, che impone altrettanta capacità di cambiamento nelle forme di organizzazione, di socializzazione, di riappropriazione da parte di coloro che lo contestano e lo combattono. L’anticapitalismo non è un’astrazione ideologica ma una pratica che si nutre di idee e di uno sguardo sul mondo. Uno sguardo, una visione, delle idee da cui ripartire. Non rinunciamo a produrne e a scambiarle con altri e altre: per questo vogliamo dotarci di un sito e di una rivista.

Abbiamo una direzione di marcia: la costruzione di una rete, che si batta per un sistema e un potere alternativo. Una rete politico-sociale che produca conflitto e funzioni in modo radicalmente democratico, che sia aperta e propulsiva di sperimentazioni nel senso dell’autorganizzazione e dell’autogestione. L’autogestione conflittuale è un terreno da riempire di significati nuovi, cogliendone la storia, le potenzialità, i limiti e le illusioni, soprattutto dal versante del rapporto con il potere, con sperimentazioni “fuori mercato“. Un percorso che vive e muove dal conflitto di classe sui luoghi di lavoro, dalla socializzazione degli spazi, dal protagonismo dei migranti, dalla lotta contro l’austerità e il debito, dalle forme di comunicazione e delle “nuove” culture, dalla lotta contro le relazioni patriarcali ed eteronormative, dalla difesa dei beni comuni. E’ un movimento permanente, una rivolta in itinere che non si ritiene orfana ma si emancipa dal peso di un’eredità.

In questa chiave puntiamo a costruire, di nuovo, senza nostalgie e pentimenti. Puntando su una visione della democrazia diretta e radicale come valore fondante l’emancipazione; sull’autorganizzazione, sull’alternatività al capitalismo e la rottura con le sue regole e leggi come consapevolezza necessaria; sulla dimensione internazionale dei movimenti come spazio indispensabile alla loro efficacia.

Questo è il nostro intento, senza alcun diritto di primogenitura. Ed è per questo che invitiamo dal 20 al 22 settembre al confronto e alla partecipazione a Communia a Roma.

20-21-22 settembre Meeting nazionale a Communia. Idee e pratiche fuori mercato