CommuniaFest: parole da mettere in pratiche

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di Communia Network

Il luogo in cui si è svolto il CommuniaFest quest’anno ha sintetizzato efficacemente il senso di quello che stiamo facendo, contribuendo in modo decisivo al successo della tre giorni.
E’ indubbio infatti che il contesto ci ha molto aiutato: non solamente lo splendido scenario della Fattoria senza padroni e i suoi uliveti in mezzo alle morbide colline toscane (impreziosite da tramonti così belli che un compagno ha detto: “sembrano veri…”), quanto soprattutto la simpatia, la relazione e gli scambi che abbiamo avuto con le donne e gli uomini di Mondeggi – che hanno partecipato con noi alle discussioni, ci hanno messo a disposizione la loro fattoria, ci hanno raccontato la loro esperienza e hanno cucinato per noi. E con il Teatro contadino libertario ci hanno mandato un messaggio molto significativo in forma artistica.​

La tre giorni – che si è conclusa domenica con una plenaria sulle parole e le pratiche del Network Communia – è stata un successo sia per la presenza di oltre 200 persone che hanno partecipato ai vari momenti di discussione (e di festa), sia per il livello delle analisi e delle proposte di iniziativa.

Come ci siamo detti con un’ironica citazione nella plenaria finale: le parole sono importanti.
Riappropriazione sociale, autogestione, mutuo soccorso non sono infatti per noi dei buoni propositi da scrivere su qualche documento o programma, quanto una strada intrapresa dalle esperienze e sperimentazioni pratiche che stiamo portando avanti.
Quelle parole chiave sono state al centro delle discussioni in plenaria e nei workshop, cercando di approfondirne il significato che hanno avuto nella storia dei movimenti antagonisti e di classe, per poter andare avanti scrivendo pagine nuove.

Come abbiamo scritto nelle “domande” che hanno introdotto il CommuniaFest, “servono idee e pratiche. Serve una moderna teoria e avamposti organizzati in cui sperimentare… Per iniziare a farlo abbiamo costruito un network tra esperienze sociali diverse ma con la stessa volontà di ricerca. Ricerca che presuppone alcune semplici ma cruciali domande, a cui in questi due anni abbiamo iniziato a sperimentare nella pratica alcune risposte, ma che in questo seminario vogliamo provare ad affrontare più chiaramente”.
Siamo arrivati al CommuniaFest portando il racconto delle tante esperienze che stiamo costruendo, come nodi locali e insieme ad altri soggetti collettivi: spazi di aggregazione sociale e politica – spesso recuperati e sottratti alla speculazione e all’abbandono; luoghi di produzione autogestita e di autoproduzione (materiale e culturale); luoghi di organizzazione della soggettività di genere e lgbtq come di quella studentesca e giovanile. Esperienze in cui sperimentiamo appunto riappropriazione, autogestione e mutuo soccorso.
Nel seminario abbiamo provato a intrecciarle con alcune questioni tematiche, patrimonio di iniziativa di tutta la rete: la “precarietà a tempo indeterminato” imposta dal Jobs act e il bisogno di reddito e nuovi diritti; la costruzione di “spazi fuorimercato” che puntino a costruire filiere autonome di produzione e distribuzione autogestita superando la separatezza produttore-consumatore, per affermare nuove relazioni e i “valori d’uso” come fondamento per camminare verso economie alternative; la riflessione sull’identità di genere e lgbtq, contro l’affacciarsi di un nuovo familismo e dell’ideologia “anti-gender”; la necessità di un’iniziativa che riprenda la questione del debito e del suo ricatto, che ha condizionato pesantemente anche la vicenda del governo Tsipras.
E ancora, pur non previsti dal programma, ma imposti dalle esperienze di diversi collettivi della Rete, una discussione sull’ecosocialismo e le lotte di difesa ambientale (con il contributo del compagno Belga Daniel Tanuro), in particolare in vista della mobilitazione verso Cop21, e una sull’accoglienza delle/dei migranti, rifiutando le artificiali divisioni tra migranti economici e rifugiati e provando a relazionarsi con il protagonismo di chi è soggetto del proprio destino e non semplice vittima da assistere. E ci siamo confrontati con altre esperienze internazionali, come quella di Podemos grazie alla presenza di Raul Camargo.

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Nei prossimi giorni pubblicheremo le relazioni e i materiali utili a far crescere le discussioni tra i nodi, e un vero e proprio nuovo manifesto del network.
La discussione non ha avuto mai dinamiche o pensieri di autosufficienza e scommette sulla costruzione di “coalizioni sociali” come luoghi di relazione con soggetti che scelgono strade analoghe alle nostre. E’ questo il caso degli spazi fuorimercato, delle esperienze dello sciopero sociale, della faticosa ma utile strada verso una coalizione sociale come quella proposta dalla Fiom. Coalizioni nelle quali portiamo le nostre parole chiave, consapevoli che non siamo ne le/i prime/i ne le/gli uniche/unici a farle vivere e che proprio per questo possiamo far crescere una politicizzazione dal basso.

Una discussione molto lontana da ritualità congressuali e che ha saputo trovare condivisioni sincere e una spinta di entusiasmo che speriamo faccia crescere l’impegno di iniziativa locale.

E come da Mondeggi siamo partite/i, la “fattoria senza padroni” è stata il tema di chiusura della tre giorni. Una delle pratiche che è stata riaffermata è infatti quella di “adotta una lotta” e per questo Communia Network ha deciso di organizzare una propria campagna per far conoscere l’esperienza mondeggina e per raccogliere fondi per finanziare uno dei loro progetti centrali, necessario per far vivere la fattoria.
Il passaggio di questi tre giorni rimarrà anche in questo modo nel nostro impegno pratico su un’esperienza esemplare di riappropriazione e autogestione.

AYOTZINAPA A MILANO

Sabato 26 ore 18.00 a Ri-Make, via Astesani 47

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26 Settembre 2015: proiezione mondiale contro il silenzio

A un anno dalla scomparsa degli studenti della scuola rurale Raul Isidro Burgos, durante il mese di settembre si svolgerà una “proiezione mondiale contro il silenzio” del documentario “Ayotzinapa. Cronaca di un crimine di stato, del regista e sceneggiatore Xavier Robles.

Il film sarà proiettato in più di venti paesi: Canada, Stati Uniti, Costa Rica, Uruguay, Cile, Argentina, Brasile, Perù, Colombia, Guatemala, Regno Unito, Francia, Spagna, Austria, Germania, Svizzera, Belgio, paesi bassi, Arabia Saudita, Italia, e in più di 150 città in tutto il mondo come New York, Vancouver, Parigi, Toulouse, Roma, Berlino, Ginevra, Houston, San Diego, Los Angeles, Austin, Montevideo, Rosario, Rio de Janeiro, aréquipa , Lima, Milano, Padova, Zurigo, Lione, Marsiglia, Manchester, Cambridge, Santiago del Cile, Guatemala, San José De Costa Rica, Michigan, Toronto, Quebec, Portland, Chicago, Sidney, Melbourne, e molte altre…

In Messico si potrà vedere in più di venti stati, comuni, quartieri, Colonie, organizzazioni civili, sindacati, piazze, sale da concerto, sale culturali, Auditorium, Università, scuole, festival di cinema, congressi di diritti umani.

Il film prodotto dalla cooperativa “el principio” è il racconto, testimoniale e documentato, della sparizione forzata di 43 studenti e studentesse e mette a nudo la complicità criminale che c’è tra le autorità politiche e militari, così come dell’élite politica ed economica del Messico

Anche a Milano potremo vedere questo film a Ri-make..

Ancora oggi, si parte e si torna insieme. Denunce a Milano contro il movimento NoTav

No Tav

Il 25 febbraio 2012 in Val di Susa si svolge una grande manifestazione popolare No Tav. Una delle tante, belle, colorate e partecipate mobilitazioni del Movimento; contro una “grande opera” devastante per il territorio e le popolazioni che lo abitano; un momento tra gli altri di una lotta diventata simbolo e riferimento per tutti e tutte coloro che resistono ai “comitati di affari” che piegano ogni cosa alla logica dei loro interessi privati.
Mobilitazione convocata inoltre in seguito alle grandi operazioni repressive dei mesi precedenti, con svariati arresti in tutta Italia, attuati nel tentativo di colpire giudiziariamente il movimento NoTav mentre cresce e diventa sempre più largo e di massa, in Val Susa e in moltissime città del paese.
Per queste ragioni, come in altre occasioni, quella manifestazione era diventata momento di mobilitazione nazionale.
50.000 persone da tutta Italia, contro la Tav in Val di Susa e contro tutte le “grandi opere” al servizio non delle comunità locali ma degli interessi di parte.

Anche da Milano, dalla Stazione Centrale parte un treno carico di centinaia di manifestanti, giovani e meno giovani, lavoratori, militanti sindacali, appartenenti ad associazioni ambientaliste, centri sociali, comitati di sostegno ai No Tav, studenti.
Si contratta un “prezzo politico” con Trenitalia, allora diretta dal “grande manager” Moretti, per permettere a tutti e tutte di partecipare. E si parte, per tornare tutti insieme allegri e convinti di aver vissuto una giornata di intensa mobilitazione popolare; alla fine di un corteo assolutamente pacifico, un serpentone colorato che si è snodato per ore da Bussoleno a Susa.
Quindi, “si parte e si torna insieme”, come si grida gioiosamente in corteo.

Ma alla stazione di Porta Nuova a Torino – dopo il tragitto dalla stazione di Susa fatto in assoluta tranquillità – ci si trova di fronte ad uno sgradevole “imprevisto”. La polizia e i Carabinieri sono schierati sui binari, impediscono l’accesso al treno di ritorno per Milano centrale.
La ragione? Trenitalia rivendica una specie di “sovrapprezzo” rispetto a quanto concordato alla partenza. D’altra parte da tempo Moretti e i vertici dell’Azienda non riconoscono più alcuna “ragione sociale” nella partecipazione alle grandi manifestazioni nazionali dei movimenti sociali.
Quindi, nessuno sconto. O si paga tutto – e caro – oppure si resta a piedi.

La delegazione milanese non accetta l’arroganza e il voltafaccia meschino – e strumentale – di Trenitalia. Si rivendica di partire al prezzo concordato; si comprende che dietro quell’atteggiamento c’è, forse, la rabbia dei “padroni del vapore” per una grande e riuscita manifestazione a sostegno di quei testardi, resistenti valsusini che così dimostrano di non essere affatto isolati in questo Paese.
Tutto da quel momento in poi avviene, certo, in un clima di tensione, con una contestazione dell’atteggiamento di Azienda e forze di polizia vissuto come provocatorio, ma in modo assolutamente pacifico. Si gridano slogan, ci si addensa di fronte ai cordoni di polizia che bloccano il binario; ma contemporaneamente si tratta con la Digos di Torino e con funzionari di Trenitalia, provando in qualche modo a “convincere”, a forzare pacificamente, a “sciogliere” quel blocco che impedisce di tornare a casa.
Finché, all’improvviso partono due, tre cariche molto violente, sia davanti che lateralmente ai cordoni dei manifestanti; cariche prolungate che coinvolgono anche semplici passanti e viaggiatori inconsapevoli.
Alcuni ragazzi cadono a terra, vengono picchiati, alcuni agenti lanciano lacrimogeni in stazione e anche dentro al treno pronto sui binari per Milano.

A testimoniare della brutalità improvvisa di quelle cariche resta la denuncia contro l’operato delle forze di polizia, fatta allora da due dei ragazzi finiti a terra e picchiati. Denuncia che verrà archiviata – per caso? -, ma che a nostro giudizio indica quali furono effettivamente le “violenze” e chi ne fu protagonista.
In questa confusione,cresce la rabbia, si fugge e si lanciano slogan; ma si cerca anche di non disperdersi. Dobbiamo tornare insieme, nessuno va lasciato indietro, bisogna prendersi cura dei feriti e dei contusi, verificare che nessuno venga fermato.
Molti reagiscono, si riformano cordoni, c’è un brevissimo lancio di oggetti verso le forze di polizia.
C’è sempre molta rabbia e si reagisce anche disordinatamente ed emotivamente. Nulla di simile ad una reazione preparata ed organizzata. Esattamente il contrario.

Alla fine si torna a discutere, si riesce a contrattare la partenza, in cambio di una “sottoscrizione volante” tra i presenti e che dà agli “esattori” di Trenitalia parte di quanto richiesto.
Cioè, se alla fine prevale un “senso di responsabilità” è quello dei manifestanti. Non quello dell’Azienda diretta da Moretti né quella della direzione in piazza delle forze di polizia.
Si torna, insieme, con molta tensione e qualche preoccupazione sulle possibili conseguenze di quanto accaduto a Milano e nelle settimane successive; ma anche con la soddisfazione non solo per la partecipazione alla giornata di lotta in Val di Susa, ma anche per essere riusciti a garantire il rientro collettivo dei manifestanti milanesi.

Ed oggi che accade? Qualche mese fa a due compagni di Milano, presenti a quella manifestazione, Dario del collettivo Ri-Make/Communia Network e Franco del collettivo Sos Rosarno viene notificata una comunicazione giudiziaria da parte della Procura torinese per i “fatti di porta Nuova”, con imputazioni piuttosto pesanti: resistenza aggravata, lesioni personali e interruzione di pubblico servizio.

Dimostrando come il “teorema” che vede i “cattivi” tra i sostenitori del movimento valsusino continui. Con una iniziativa giudiziaria che stravolge la realtà di quanto avvenuto in quella stazione, in cui praticamente agli imputati – e di fatto a tutti quelli che erano lì – viene addebitato un comportamento violento quasi “costruito”, preparato e pregiudiziale che non corrisponde né alle loro intenzioni né alla dinamica dei fatti.
I due compagni dovranno sostenere un processo. La prima udienza è convocata presso il Tribunale di Torino il 22 ottobre prossimo.
Ci sentiamo impegnati a sostenerli, come abbiamo sostenuto le ragioni del grande movimento di lotta in Val di Susa.
Ci impegniamo a far circolare informazioni e documentazione su quanto effettivamente avvenuto quel giorno. Vogliamo lavorare insieme a tutti i soggetti protagonisti di quella giornata, perchè vengano scagionati dalle accuse loro imputate nelle aule di quel Tribunale e possano continuare a partecipare liberamente insieme a tutti noi alle lotte e ai movimenti sociali che ci sono dinanzi.
Ancora oggi per noi si parte e si torna insieme.
Dalla Val di Susa a tutti i luoghi in cui si lotta e si resiste contro le ingiustizie e l’esclusione sociale, contro lo sfruttamento e tutte le oppressioni., contro la devastazione dell’ambiente e dei territori nei quali viviamo.