Beni Comuni vendesi?

25 novembre 2020

Arrivano novità importanti dal Comune di Milano!
Saranno interventi d’urgenza per l’emergenza Covid-19? Investimenti economici per sostegni al reddito, alla spesa, alla casa, alla cura dei bambini?
Macché! Si tratta, come spesso ormai ci capita di ricevere, brutte e minacciose notizie per alcuni spazi sociali autogestiti e solidali della città…

Lo scorso 2 novembre sul sito istituzionale del Comune di Milano viene pubblicato questo comunicato: “Con 25 voti a favore il Consiglio comunale ha votato l’integrazione al Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari del 2020. La delibera modifica il Documento unico di programmazione del Bilancio di previsione 2020-2022 e consente un’integrazione delle dismissioni immobiliari che serviranno al Comune per attivare processi virtuosi di rigenerazione urbana come Reinventing cities e rimettere nel circuito cittadino sin da subito 25 immobili in disuso, oggi abbandonati sul territorio.

Questa delibera, e un’altra di pochi giorni precedenti, riguardano anche la struttura dell’ex-Liceo Omero di via del Volga 4 per la quale si trovano due precisioni:

  • l’anticipo della demolizione (prevista nel Piano Triennale delle Opere) dal 2021 al 2020 (!?) – con una spesa prevista di 2,500,000 di Euro
  • la vendita dell’area con pieno diritto di proprietà e di superficie

In sostanza l’ex Liceo verrà demolito e l’area venduta a chi vincerà un bando specifico che ne potrà quindi disporre su un proprio progetto.

Obiettivo dell’Amministrazione Comunale? Fare cassa “per fare politiche di investimento senza ricorrere all’indebitamento”. Ovvero rinuncia a spazi e strutture che potrebbero rispondere a esigenze sociali nei vari quartieri affidando al privato rispondere (forse) a queste esigenza.

Un anno fa, parlando della demolizione, l’Assessore Granelli scriveva: “Come usare quello spazio sarà un tema di partecipazione dei cittadini, a partire dallo studio delle esigenze della popolazione e pensando i cambiamenti del quartiere”.

La realtà è ben diversa: la progettazione sarà fatta da un privato, che ovviamente prevederà la “risposta a bisogni sociali”, ma non ci sarà alcuna discussione con il quartiere per valutare quali siano quelle esigenze.

Come avevamo comunicato pubblicamente, alla fine del mese di settembre abbiamo inviato una nostra manifestazione d’interesse (dopo le due precedenti inviate già nel 2018 e nel 2019) presentando il progetto di Ri-Make Bene Comune, attraverso l’associazione Fuorimercato, attiva da tempo nello spazio, e un insieme di realtà associative e informali che volevano continuare a dar vita all’ex liceo Omero recuperato come spazio aperto e non esclusivo, partecipato, autogestito, mutualistico.

Una manifestazione d’interesse che presentavamo nel quadro dell’avviso pubblico aperto dal Comune di Milano, che riguardava appunto i 25 spazi “in disuso” (sic!) con un progetto che prevedeva una soluzione in due tempi per l’ex Omero: il riconoscimento in tempi brevi come Bene Comune dello spazio – che quindi potrebbe continuare le attività sociali, culturali e mutualistiche con una gestione aperta – fino alla demolizione (di cui comprendiamo la necessità, date le difficoltà di una efficace e complessiva ristrutturazione dello stabile); l’utilizzo del tempo in attesa della demolizione per aprire un tavolo di co-progettazione tra le associazioni interessate, le/i cittadine/i del quartiere e l’Amministrazione Comunale per decidere insieme quali siano davvero le esigenze comuni e cosa si potrebbe realizzare nello spazio, anche attraverso finanziamenti europei e solidali.

Nessuna risposta è ancora arrivata rispetto a questa manifestazione d’interesse ma il percorso avviato dall’Amministrazione Comunale è molto chiaro, e ci chiediamo dunque che valenza abbia avuto questo avviso pubblico e le proposte di “partecipazione” rivolte alla cittadinanza per la gestione degli spazi da recuperare, tanto decantate dalla giunta.

In un precedente comunicato parlavamo di “scelte amministrative che sembrano contraddittorie…  rispetto alle stesse possibilità regolamentari e giuridiche che pure privilegiano chi può permettersi investimenti finanziari” e rilanciavamo una sfida politica e sociale all’Amministrazione stessa che riguardava tutti gli spazi sociali milanesi a rischio di sgombero o abbandono: “…riconoscere come “Bene comune” questi spazi, riconoscere il loro valore sociale, la loro “redditività civica”. Non dovrebbe essere semplicemente  una scelta amministrativa, quanto il riconoscimento della necessità di questi spazi sul territorio. Necessità non per chi li “gestisce”, ma per le migliaia di persone che partecipano, abitano, usufruiscono di servizi e sostegno da questi spazi.”

L’Amministrazione Comunale non sembra in alcun modo interessata a sperimentare nuove strade di valorizzazione sociale di spazi non abbandonati ma fatti vivere in questi anni – e ancora oggi attivi nella solidarietà alle tante persone in difficoltà a causa dell’emergenza per il Covid 19 anche in questa seconda ondate.

L’unica soluzione è quella di vendere, fare cassa, senza confrontarsi seriamente – altro che dialogo con gli spazi; altro che “riconoscere che alla fine parliamo di spazi sociali che forniscono una produzione culturale alternativa, un’ aggregazione a basso costo, svolgono una funzione molto contemporanea”, come ha dichiarato il Sindaco Sala.
Ancora una volta parole al vento. Parole vuote di un’amministrazione indisponibile ad ascoltare le necessità e le progettualità che arrivano da questi territori e da questi spazi, nonostante siano arrivati attraverso quei canali istituzionali che il sindaco stesso indica come gli unici possibili.
Se non si può discutere seriamente del futuro e della tutela di queste esperienze solidali e autogestite, tanto di valore per l’amministrazione, neanche partecipando formalmente e correttamente a un avviso pubblico, che cosa bisogna fare?

Per neanche un minuto l’amministrazione si è davvero preoccupata non solo di tutelare ed evitare la cancellazione delle esperienze degli spazi recuperati, ma anche di come non condannare a chiusura certe associazioni, presenti in spazi di proprietà comunale, che sono attive sul territorio da decenni, e che per la crisi attuale non sono più in grado di sopravvivere.
La giunta Sala vive di una normalità della mercificazione e della svendita dei beni pubblici anche in questa situazione eccezionale. E noi abbiamo sempre pensato che è questa normalità ad essere il problema.

Per quanto ci riguarda continueremo a portare le nostre proposte in ogni sede, istituzionale e non. E lo faremo insieme alla rete degli spazi sociali e liberati, che in questi giorni è stata impegnata in tante iniziative – sia di mobilitazione (come il Presidio del 4 novembre davanti a Palazzo Marino per Reddito-salute-istruzione e la nostra partecipazione alla mobilitazione online “Per una società della cura” di sabato 21 novembre) che di solidarietà concreta e diffusa in tutta la città.
Pretendiamo che ci sia una risposta formale all’avviso pubblico e alla nostra manifestazione d’interesse, e che si apra un tavolo di confronto pubblico tra l’amministrazione e tutte le realtà di autogestione, solidarietà e mutualismo interessate da queste minacce e che rischiano di essere cancellate da questa situazione.

Difendere gli spazi autogestiti per noi non è garantirci una sede privata, quanto aprirsi alla progettazione sociale e popolare, proprio quella che l’Amministrazione sembra aver deciso di evitare.
Per noi sono i Beni Comuni e le pratiche di autogestione dal basso che indicano le uniche vie per una città alternativa, fondata sulla cura reciproca e sulla risposta collettiva ai bisogni sociali.

 

Beni Comuni contro il vero disuso

16 settembre 2020

Disuso: Stato di abbandono causato da un cambiamento generale di indirizzo.

Ogni persona ha nella mente e nel cuore una sua città, un suo modo di vivere la metropoli milanese. Per molte/i è purtroppo anche un modo di non viverla, di non poterla vivere fino in fondo, perché mancano le risorse per poterlo fare.

Risorse materiali – lo sappiamo benissimo – ma spesso anche risorse culturali e sociali. Perché è la stessa struttura urbana a differenziare, a dividere, a costruire cittadine e cittadini costretti a vivere zone della città abbandonate, o comunque molto poco considerate dalle grandi istituzioni culturali e sociali.

Potremmo definirle zone in disuso, se volessimo utilizzare la lingua delle burocrazia….

In moltissime di queste zone, dentro la cerchia dei confini cittadini come nell’hinterland metropolitano, sono nate importanti esperienze culturali, sociali, politiche, solidali – esperienze autogestite, costruite sull’autofinanziamento, sulla gratuità o comunque sul rifiuto della logica di mercato per cui può sopravvivere solo chi ha “i mezzi” per farlo.

Non sono necessariamente spazi recuperati o “occupati” (noi preferiamo chiamarli “liberati”, ovvero liberati dall’abbandono): a volte sono stati presi in affitto, in concessione, in convenzione – scommettendo sulla possibilità di ripagarne i costi (e magari anche il lavoro di qualcuna/o) attraverso la partecipazione e la socializzazione di iniziative popolari.

Dopo i mesi della chiusura e dell’emergenza ci ritroviamo a fare i conti con il rischio concreto della perdita di moltissimi di questi spazi. Pensiamo a realtà come La Scighera, al circolo Ohibò, alla Casa delle Donne di Milano. E pensiamo a spazi recuperati come Lambretta, Cascina Torchiera, Ri-Make Bene Comune, alcuni persino recentemente sgomberati e a cui va tutta la nostra solidarietà, come nel caso del Lock (sgomberato nonostante fosse base, tra le altre cose, delle brigate di solidarietà).

Non si tratta solamente di fare i conti con i costi economici e la mancanza di entrate durante i mesi di “inattività”, ma anche con il ritorno della città che non si ferma, con scelte amministrative che sembrano contradditorie. Contradditorie rispetto alle stesse possibilità regolamentari e giuridiche che pure privilegiano chi può permettersi investimenti finanziari.

Pensiamo ad esempio alla possibilità di riconoscere come “Bene comune” questi spazi, riconoscere il loro valore sociale, la loro “redditività civica”. Non dovrebbe essere semplicemente una scelta amministrativa, quanto il riconoscimento della necessità di questi spazi sul territorio. Necessità non per chi li “gestisce” ma per le migliaia di persone che partecipano, abitano, usufruiscono di servizi e sostegno da questi spazi.

Abbiamo accennato all’“inattività” causata dal lockdown: molte attività sociali e culturali di questi spazi – accessibili a ogni forma di pubblico, sempre vissute collettivamente – in quei mesi si sono dovute fermare.

Ciononostante, tutti questi spazi sono stati il centro di vecchie e nuove attività di solidarietà, mutuo soccorso, aiuto alle persone più fragili. Senza aspettarsi nulla, perché è stata una scelta naturale, conseguente a valori e principi su cui si fondano queste esperienze.

Altro che inattivi. Mai stati così necessari, efficaci, epicentri di relazioni che durano ancora dopo l’emergenza.

Oggi questi spazi vanno difesi, non perché pensiamo vada “premiata la generosità” o perché la solidarietà chiede qualcosa in cambio. Vanno difesi perché sono una parte fondamentale della metropoli, sono il corpo, l’anima e l’intelligenza di una città che non può più permettersi di vivere su logiche di profitto e meccanismi di mercato. E questo non solo per ragioni sociali o economiche ma prima di tutto ecologiche.

Sono spazi che non chiedono un “aiuto pubblico” quanto la possibilità di poter continuare ad essere bene pubblico, luogo di relazioni e di ascolto, di mutuo aiuto e cura reciproca, di partecipazione dal basso e aperta a tutta la cittadinanza.

Ri-Make in questi due anni nei quali ha recuperato uno spazio abbandonato, in disuso – perché economicamente il liceo Omero non era più conveniente – ha cercato di lavorare sulla costruzione materiale di bene comune. Lo ha fatto concretamente, con le sue attività solidali, culturali, mutualistiche; e lo ha fatto con la proposta e la disponibilità al confronto, alla vertenza.

Come dicevano le/gli zapatiste/i, “Todo para tod@s, nada para nosotr@s” – Tutto per tutte/i, niente per noi. Non ci interessa il riconoscimento di un collettivo, di un gruppo di attiviste/i. Ci interessa poter continuare ad accogliere, ad aprire lo spazio alla partecipazione, a coinvolgere soprattutto generazioni che vogliano esprimersi, vivere i loro sogni, condividere i propri desideri, conoscere i propri diritti e costruirne di nuovi.

La ricchezza politica, culturale e sociale di questi spazi non deve essere solo riconosciuta, ma protetta, emancipata e diffusa. Consapevoli che da un punto di vista ecologico tali pratiche di comunità non sono solo necessarie, ma saranno sempre più le uniche possibili per “fare città”.

Per noi questo è proprio quello che chiedono anche Scighera, Lambretta, Torchiera, Casa delle Donne e i molti altri spazi e progetti alternativi presenti in questa città.

Ogni spazio con la propria esperienza e le proprie caratteristiche ma con qualcosa in comune: essere beni comuni che la metropoli non può perdere.

Questa la nostra sfida, la nostra lotta, la nostra proposta.