Reinventare le città…o condannarle a un triste destino?

È bello alzarsi una mattina d’estate, farsi una doccia veloce, mangiare e magari dare un’occhiata alle notizie sui giornali, per sapere cosa sta succedendo nel mondo in cui vivi e placare l’afa con una ventata di novità dalla tua personale finestra sul mondo. A volte però si ha l’impressione che si esageri con le novità di cui sopra.

Ecco che ad esempio, in questi giorni, la stampa mainstream stia sottolineando come nella nostra Milano i progetti di riqualificazione che vanno sotto il nome di Reinventing Cities, progetti che non implicano solo Milano ma tutte le principali città d’Italia, stiano arrivando a un dunque, e a un dunque pesante in termini di impatto sulla forma e sul senso non solo dell’abitare ma del vivere in una città complessa.

In realtà del progetto Reinventing Cities si parla da molto più tempo sottotraccia, ma ora un po’ per via dell’assegnazione del bando a alcune realtà dell’architettura internazionale, un po’ perché coi vari PNRR parrebbe che una nuova pioggia di soldi stia per riversarsi sulle città del nostro Bel Paese, cosa di cui sarebbe sciocco non approfittare, in nome di un costruire relazioni con alla base non il benessere di tutti i soggetti coinvolti ma il profitto di alcuni, ecco che tutti, dagli assessori di maggioranza all’opposizione, pare che tutti siano convinti di un’opera di riqualificazione da verificare al microscopio per evitare l’ubriacatura collettiva.

Siamo infatti in un periodo critico, dove occorre effettivamente prendere delle decisioni sensate. Il Covid prima e ora i cambiamenti evidenti nel clima ci stanno dimostrando che forse le decisioni prese in molti ambiti delle nostre esistenze sono state dettate dalla comodità e dall’abitudine, oltre che da interessi economici che andavano appunto a cementare quelle abitudini in un circolo vizioso, e che ora dobbiamo rivedere le scelte da effettuare per un certo tipo di futuro.

Ad esempio lo scorso anno, i Comitati Civici La Goccia, Le Giardiniere e Il Giardino degli Aromi (quest’ultima è una associazione Onlus che all’interno dell’ex Paolo Pini ha sviluppato esperienze comunitarie di orti urbani) hanno dato vita a RiforestaMI, un evento contenente il racconto teatrale “Il Lago Che Resiste” e una introduzione di Paolo Pileri, Professore di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico.

Dove non è la cittadinanza attiva a muoversi, nascono invece interventi meno trasparenti o con versanti inquietanti. Ad esempio in Via Zama al civico 23 a Milano, dove si trova una scuola costruita nel 1923 addirittura e da parecchio tempo lasciata inutilizzata, come spesso avviene purtroppo con strutture di questo tipo (la cultura non è una priorità civica pare), probabilmente l’AMSA prenderà in gestione l’edificio in questione con una demolizione della scuola stessa e ricostruzione di un Hub per l’emergenza abitativa, per cui si pensa ai fondi del PNRR nella somma di 25 milioni.

Ma non solo: per evitare che gli attuali occupanti abusivi – si fa notare incidentalmente che si sgombera chi è in emergenza abitativa appunto – rientrino nella struttura, AMSA si occuperà anche con adeguato intervento di vigilanza privata di tenere i locali sgomberi, rispondendo così a una emergenza creata ad arte dalla stampa di destra che ha dipinto gli occupanti come persone pericolose – si sa che le dinamiche abitative di chi è senza dimora sono problematiche, non per questo sono da condannare e catalogare come devianza.

Senza contare le operazioni di mero sgombero, senza ricollocazione, avvenuti in quest’ultimo periodo: Via Mme De Stael, via Iglesias, gli sfratti denunciati dal Comitato Abitanti di San Siro, quelli segnalati dal Comitato Abitanti Barona, senza contare il futuro segnato di spazi quali MACAO, e la prossima chiusura di Casa Santa Chiara, uno spazio notturno per senza fissa dimora, in vista dei prossimi progetti olimpici, quasi che oltre a non considerare certe persone – brutalmente: forse perché non votano? – come mera emergenza e non come portatori di una situazione difficile da affrontare con interventi strutturali.

Oltretutto, in contesti considerati da tutti come meno ‘democratici’ rispetto al nostro Paese, ad esempio in Cina, laddove l’ingegneria civile o l’architettura preme per modificare l’aspetto delle città, c’è sempre un compenso in denaro per chi si trova senza dimora da un giorno all’altro. Persino un certo cinema impegnato ha mostrato questo aspetto del modus operandi cinese – pur criticandone altri come del resto è lecito fare – in una pellicola come “Still Life”, del 2006, del pluripremiato regista Jia Zanghke. Vorranno i democratici e progressisti politici nostrani essere da meno di quanto avviene in altrui ‘regimi’?

Anche perché oltretutto è facile imbattersi in simil-ecomostri in costruzione (fuori dal progetto Reinventing Cities vogliamo dire) nelle nostre periferie per cui si potrebbe scomodare il muratore di Amarcord di Fellini che, durante dei lavori, al proprio ‘padrone’ cita una poesiola il cui senso è “ho costruito tante case, ma la mia dov’è?”, che restituisce un senso di spaesamento che noi non proviamo tanto di fronte al progresso, quanto per uno scetticismo sano, quello che proviamo di fronte a studenti universitari per cui il prezzo ‘calmierato’ per una stanza si avvicina ai 500 euro al mese.

Come pagheranno gli studenti quel prezzo calmierato? Chiederanno alla borsa di mamma e papà ulteriori sacrifici? Cercheranno un lavoro temporaneo? Lo troveranno? E pagato come? Insomma, sembra che la nostra città sarà “friendly” soltanto in apparenza, nascondendo gentrificazione (l’arte del far pagare in periferia somme pari a quelle del centro città per praticamente tutto) e greenwashing (l’arte altrettanto nobile del riverniciare col colore dell’ecologia pratiche tutt’altro che sane per l’ambiente) dietro parole nobili quali “approccio architettonico solistico” e “fluidità tra verticalità e orizzontalità”, come abbiamo avuto modo di ascoltare nelle presentazioni pubbliche dei progetti relativi a Bovisa, Piazzale Loreto, Crescenzago e ex Macello.

Quale alternativa a tutto ciò? Noi pensiamo a una città in cui in futuro occorra mettere al centro la cura e le relazioni. Che idea di città implica il puntare sul mutualismo, ovvero sull’idea che ogni uomo è una risorsa e non un disturbo, e sul prendersi cura di sé e dell’altro in tutti gli ambiti della nostra vita?