#Expo2015 significa #debito

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Debito, al pari di Cemento e Precarietà, è una della parole chiave con cui abbiamo descritto Expo2015 e smontato la sua narrazione tossica. Riprendiamo e pubblichiamo di seguito un’analisi fatta dal collettivo Offtopic, su come Expo diventa meccanismo di Debito, analizzando il caso del Comune di Milano. Uno strumento utile per orientarsi sul cammino verso la Mayday NoExpo e le iniziative che seguiranno, nei sei mesi del megaevento.

Expo2015 significa debito

Molte sono le problematiche su cui si discute quotidianamente in merito ad Expo2015, poco si è ancora detto dell’impatto del megaevento sulle casse pubbliche e sui servizi pubblici.

Expo2015 è un megaevento sostenuto quasi interamente da soldi pubblici (del miliardo e 300 milioni di spesa per la realizzazione, e’ privata solo la cifra corrisposta dalla Camera di Commercio, il 10%) , questo lo rende particolarmente gravoso a livello finanziario.

Se si considerano le opere annesse (le grandi nuove autostrade e le nuove linee della metropolitana) occorre aggiungere altri 9 miliardi di euro. Occorre aggiungere altri centinaia di milioni di euro se si considerano anche le operazioni legate indirettamente ad Expo, ovvero le operazioni di restyling urbano e l’organizzazione di eventi collaterali ad Expo, legati ad esso ma da svolgersi fuori dal sito Expo. Per non parlare delle spese non preventivate e di quelle legate ai ritardi per la costruzione delle opere, Italia90 docet, che con Expo2015 sta rischiando di superare ogni record (ultime in questo senso le spese per il maquillage e l’occhio tangenti dei padiglioni non pronti per l’apertura dei cancelli).
Uno dei risultati di questo sforzo economico è, quindi, un nuovo importante aumento del debito pubblico. Le stime più ottimistiche sulla vendita dei biglietti (in questi ultimi giorni offerti in lungo ed in largo a prezzi scontati) parlano di incassi dell’ordine di 500 milioni di euro. 300 milioni abbondanti di euro derivano per ora dalle sponsorizzazioni, il resto è debito.

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Il debito è uno dei tre assi fondamentali su cui è stata costruita la critica al megaevento dalla rete dell’attitudine NoExpo, assieme a cemento e precarietà. Tre assi utili a categorizzare le nocività prodotte dal grande evento pensato dall’ex sindaco Moratti e portato avanti dall’attuale giunta arancio. Dei tre assi in particolare questo è quello che più influisce in maniera preoccupante sull’attività della pubblica amministrazione, un’influenza che diventa austerity: arretramento dei servizi, esternalizzazioni, privatizzazioni, generale risparmio sul costo del lavoro. Il tutto supportato da una pressante campagna ideologica che vuole attribuire le responsabilità dei problemi di bilancio alla spesa pubblica in favore dei servizi pubblici e più in generale della pubblica amministrazione. Oggi dobbiamo fare un passo avanti e nutrirci di una consapevolezza: a Milano il volàno del debito è Expo2015!

Il caso del Comune di Milano

Il Comune di Milano partecipa ad Expo spa col 20% mentre detiene il 34,67% di Arexpo spa, il cui valore supera i 300 mln di euro (valore ballerino, una parte dei fondi sono stati anticipati da alcune banche). Denaro pubblico su cui è possibile scendere nel dettaglio e più nel concreto verificare che significa “pubblico”, qual è la provenienza, quale l’utilizzo.
Scorrendo i bilanci dell’ente dal 2011 al 2013, vien subito all’occhio il dato delle entrate tributarie:
2011: 611.200.000,00 euro
2012: 1.243.170.350 euro
2013: 1.338.467.830 euro

Ciò significa che i tributi locali in due anni sono raddoppiati. Contemporaneamente sono crollati i crediti derivati dai trasferimenti dallo Stato. I bilanci, in generale, dal 2011 al 2013 sono diventati più leggeri, da 9 mld. di euro a 7,6 mld. di euro. Da una parte quindi abbiamo un flusso centro/periferia che si interrompe, dall’altra aumenta vertiginosamente la quota di entrate di diretta responsabilità dell’ente prelevata alla cittadinanza. Se dobbiamo quindi attribuire un nome ai finanziatori della quota del Comune di Milano per Expo2015, possiamo ben affermare che questi sono stati i cittadini milanesi, il chè è un po’ banale. Ciò che non è invece banale è verificare come questo finanziamento sia stato a carico più o meno di tutti, indistintamente dal proprio reddito. Va infatti ricordato come la tassazione a livello locale sia scarsamente “progressiva” (le addizionali irpef, ovvero l’imposta più progressiva, incidono ben poco sul totale delle entrate tributarie). Anche le imposte che potenzialmente potrebbero essere più progressive, come quelle sulle proprietà immobiliari (IMU), non lo sono, e percentualmente anzi pesano molto di più su chi ha meno piuttosto che su chi ha di più. L’effetto quindi del federalismo fiscale, nel Comune di Milano ai tempi di Expo2015, è stato quello di costringere la città ad uno sforzo immane per organizzare un evento che parte già con una prospettiva di debito a cui seguirà nuovo debito generato dalla vicenda dell’acquisto scellerato dei terreni su cui si organizza il megaevento (il primo nella storia sito su terreni acquistati da privati anziché demaniali). Su questa partita le prospettive attuali confermano la prospettiva di nuovo debito nonostante gli annunci quotidiani sulla stampa.
Il Bando di Gara per l’acquisto e la riqualificazione dell’area (costo dell’offerta 320 mln di euro per l’acquisto dell’area) e’ andato deserto e la realtà è quella di un mercato immobiliare ancora in crisi e con una disponibilita’ di volumetrie, abitative e non, vuote sul territorio metropolitano immensa. Ossia il quadro migliore perché tra un anno ci si trovi ad avere un’area abbandonata, milioni di euro in più di debito sulle casse comunali, ovvero la necessità di rendere l’area più appetibile aumentandone le potenzialità di profitto (leggi più volumetrie) ma non certo a vantaggio della collettività dei milanesi.
Alla fine si arricchirà, eventualmente, chi ha di più ed ha contribuito al megaevento proporzionalmente molto meno di di chi non ha nulla.
Oltre al danno è evidente però anche una beffa: questo sforzo non ha prodotto alcun avanzamento dei servizi, oggi fortemente sotto stress poiché sotto organico. Le spese per il personale nel Comune di Milano sono inferiori al 25%, il che rende questa struttura amministrativa la più virtuosa fra le grandi amministrazioni italiane. Questa virtù è però più una spada di Damocle che un Excalibur: la carenza di personale determina un progressivo smantellamento dei pubblici ed economici servizi in favore di esternalizzazioni e privatizzazioni. Il forno crematorio di Lambrate, la cui privatizzazione coinciderà anche con un aumento considerevole delle spese per il servizio, è uno dei casi all’ordine del giorno in un Comune sempre più desideroso di appaltare servizi di supporto ad esterni. Nel 2011 il Comune di Milano contava 15500 dipendenti, a pochi mesi dall’apertura di Expo questi sono diventati 14600 (-900 dipendenti, alla faccia dell’Expo che favorisce l’occupazione). E’ evidente quindi come il numero complessivo di dipendenti pubblici fra il 2011 ed il 2015 è diminuito (nonostante il bisogno d’essere autosufficiente dettato dal federalismo fiscale de facto impone maggiori necessità di personale): da Relazione Previsionale Programmatica 2013/2015 scopriamo che a fronte di una dotazione ottimale di 18550 dipendenti la realtà vede un organico di 15264 dipendenti (al 31/12/2012) poi come detto ulteriormente diminuito. Per gli anni successivi si continua a parlare di un turnover negativo.
Anche le società controllate non se la passano meglio: vendita delle quote di Sea e Serravalle, aumento dei biglietti ATM (nel 2012) e dibattito in queste settimane per un nuovo ulteriore aumento. Mancano 50 milioni di euro (dal ministero sono arrivati 60 dei 110 milioni di euro richiesti) a servizio delle attività di Amsa, Atm, Polizia Locale e servizi del Comune di Milano collegati ad Expo2015 ed all’aumento di lavoro che ci sarà inevitabilmente durante i 6 mesi dell’esposizione.
La sofferenza dei servizi pubblici non avrà certo fine il 31 ottobre 2015: chi pagherà il debito successivo? Chi fermerà la spirale dell’austerity e l’avarizia del fronte neoliberista?

Lavoro/Precarietà

Lo shock prodotto dal megaevento incide in maniera determinante in ambito lavorativo tout court, introducendo un livello disarmante di precarietà. La campagna di giustificazione morale a ciò fa leva sui limiti di spesa e sulla necessità quindi di risparmiare sul costo del lavoro.
Tornando a picco su Expo, con l’accordo del luglio 2013 firmato dalle organizzazioni sindacali confederali e da Expo2015 spa si codifica la figura del lavoratore volontario, che presterà servizio all’interno di Expo2015 permettendone lo svolgimento. Si parla di 18.500 volontari, un esercito di lavoratori non retribuiti a coprire mansioni che potevano essere tranquillamente retribuite (tanto quanto i lavoratori degli stand di qualsiasi fiera per intenderci). A questi si aggiungono i 1000 volontari del Touring Club Italia, che presteranno servizio presso i musei cittadini garantendone la funzionalità e coprendo figure professionali che, normalmente, vengono retribuite, quali le guide turistiche. Ed Expoincittà, di cui a breve scopriremo le sembianze. Oltre alla marea di stage di cui usufruiranno i servizi commerciali orbitanti attorno al pianeta Expo. Si parla appunto di “modello Expo” per indicare la vetta di precarietà a cui tende la nuova legislazione sul lavoro (determinata dal Jobs Act renziano).
Si parla in questi giorni anche di assunzioni di lavoratori a tempo determinato nel periodo di Expo2015: per quanto questa misura sarà utile a chi non riceve reddito per portare a casa vitale liquidità, per quanto nel panorama Expo questa figura di lavoratore sarà di gran lunga quella meglio retribuita e più tutelata, va però valutato l’impatto negativo del debito proExpo sulle assunzioni provocato negli anni precedenti, ora e negli anni a venire dalle restrizioni di bilancio per pagare l’abbuffata ogni giorno agli onori della cronaca (giudiziaria). Tanto che un tavolo per il piano occupazionale non è all’ordine del giorno (il precedente piano triennale è giunto a termine fra lacrime e sangue) e che negli sporadici incontri coi sindacati sul tema l’amministrazione ha presentato numeri sulle assunzioni inferiori ai limiti permessi dalle attuali normative. E si parla, sia chiaro, di numeri col segno meno, di turnover possibile all’80% (4 assunti per 5 pensionati, per intenderci).

Per Expo2015 ci vengono quindi proposte le briciole: nessuna soluzione per le decine di precari pubblici che con le passate normative sarebbero potuti essere stabilizzabili, nessuna soluzione per i settori in costante emergenza personale. Non ci devono ingannare le più recenti assunzioni derivate dalla
mobilità perchè semplicemente corrispondono all’assunzione da parte dell’ente di nuove responsabilità e nuovi servizi (com’è il caso della Riscossione ora di responsabilità diretta dell’ente) o nuove funzioni che si aggiungeranno nel momento in cui entrerà a regime la riforma delle provincie. Niente a che vedere con una razionalizzazione dei carichi di lavoro.

Brand Milano spa vs Diritto alla città

Qual’è il risultato dello shock Expo (che fra l’altro è tuttora in divenire)? Una città con un pesante debito pubblico, con una pubblica amministrazione e pubblici servizi ridotti al minimo, con un’immagine turistica che vorrebbe rilanciarsi e con nuovi avveniristici quartieri per ricchi inaccessibili dalla maggior parte dei milanesi ma ottimali sia in funzione di cartolina sia in funzione di innesco per operazioni speculative. E’ la vecchia opposizione fra la città dei servizi pubblici, dell’accesso ai beni comuni e la città della rendita, legata ad un brand territoriale in costante movimento che piega gli interessi della città agli interessi del mercato: turistico, immobiliare, finanziario. Le vittime sono l’ambiente (di cui non abbiamo parlato in questa sede), i bilanci pubblici, l’esercito di riserva dei disoccupati e dei precari, i servizi pubblici, piegati dalla volontà di chi chiede uno sforzo comune per migliorare l’immagine turistica della città, e chi vi lavora. Cioè noi.
Expo2015 però deve ancora iniziare ed è ancora possibile determinare il nostro futuro: i sacrifici dei milanesi devono costruire servizi stabili, accessibili, socialmente utili oppure devono andare a servizio dei corruttori, dei predatori e di chi preferisce utilizzare la ricchezza pubblica in operazioni che rischiano costantemente di generare spirali speculative?
Inoltre, è giusto esser chiamati ad infiniti sacrifici dovuti ad emergenze altrettanto infinite?
No!

articolo tratto dal sito offtopiclab.org

L’Expo dei polli

expodi Piero Maestri

“Nutrire il pianeta o nutrire le multinazionali dell’agrobusiness?” era il titolo dell’incontro organizzato alla fabbrica recuperata Rimaflow con la presenza del leader dei Sem Terra Joao Pedro Stedile nel novembre scorso. Per gli organizzatori dell’incontro il punto di domanda era evidentemente un artificio retorico, consapevoli che Expo2015 rappresenta una grande occasione per le multinazionali e le più importanti imprese dell’agroalimentare dei paesi economicamente più forti.
Condividiamo questa consapevolezza e questa opinione, ma dobbiamo sottolineare che il gioco di Expo2015 è più sottile, nascosto e quindi pericoloso.
La costruzione materiale e immateriale che è sorta intorno al tema guida dell’Expo si propone di diffondere l’idea che sia possibile “nutrire il pianeta” anche (o soprattutto) con il contributo delle multinazionali dell’agrobusiness, quindi garantendo e sostenendo il loro profitto.
Ma c’è di più. Expo2015 si affida alla “collaborazione tra i diversi stakeholder della comunità internazionale” (dal sito expo2015.org), fingendo di mettere sullo stesso piano governi, organizzazioni internazionali, imprese e multinazionali e “società civile”. In questo modo si cerca di far passare l’idea che le soluzioni ai grandi problemi dell’umanità (accesso al cibo, all’acqua, ambientali ecc.) risiedano nelle grandi innovazioni tecnologiche e scientifiche e quindi in un idilliaco avvento di società “green” e collaborative.
Inutile dire che non si pongono problemi riguardo al controllo delle risorse, alla loro distribuzione “equa”, insomma ai rapporti sociali globali.
Senza voler entrare nel merito di questo aspetto (anche se lo faremo prossimamente), un’operazione analoga avviene da tempo con la diffusione dell’ideologia food che procede (come scrive Wolf Bukowski nel suo ultimo “La danza delle mozzarelle”, Edizioni Alegre) “fantasticando di una trasformazione sociale a partire dal modo di fare la spesa e cucinare… illusione consolatoria per i consumatori (che pensano di poter fare finalmente qualcosa di buono, pulito e giusto) e innocua per il capitale (anzi potenzialmente profittevole…)”, per evitare di assumere che “il capitalismo è un crimine di cui è indispensabile contrastare tanto le manifestazioni concrete e presenti (l’iniquità) quanto i sogni (lo sviluppo infinito)”.

Tornado ad Expo2015, sono diversi gli esempi di questa illusione collaborativa e di questa propaganda dell’equità e delle “magnifiche sorti e progressive” assegnate a scienza e tecnologia, ovviamente considerate neutre rispetto ai rapporti sociali di capitale.
In primo luogo all’interno del sito vengono ospitate esperienze teoricamente differenti o quasi “alternative”, per mostrare la diversità e la ricchezza delle risposte possibili. Così all’interno del sito potremo mangiare da Mc Donald’s – Official Sponsor di Expo 2015, protagonista del progetto “Fattore Futuro”, “nato con l’obiettivo di accompagnare e aiutare i giovani agricoltori nello sviluppo delle loro aziende, che ha ricevuto il Patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali; oppure possiamo scegliere di andare a comprare cibo di qualità, alimentare e politico-culturale, da Eataly, la creatura del frizzante Oscar Farinetti, vincitrice (senza gara) di un appalto per “due padiglioni da 4mila metri quadrati ciascuno, in cui funzioneranno 20 ristoranti, uno per regione italiana. Italy is Eataly: sarà il nome di quello che è stato presentato come “il più grande ristorante che mente (e pancia) umana abbia mai pensato”.
Farinetti vs McDonald’s? Non è così: i due marchi sono complementari, sia sul piano del target a cui si rivolgono, sia sul piano della comunicazione della loro partecipazione a Expo2015: entrambi si fanno paladini di soluzioni “concrete” per sostenere il “nutrire il pianeta”.
D’altra parte, sul piano culturale e ideologico il fast food si prende una rivincita sullo slow food (di cui Farinetti è uno dei maggiori profeti, oltre che distributore e co-proprietario di alcuni dei “presidi”): non perché si afferma una sua superiorità, ma perché irride una presunta e spocchiosa superiorità dell’altro – nel momento in cui quest’ultimo, che era nato programmaticamente come alternativa al sistema dannoso del primo, ne accetta ora una complementarietà all’interno di Expo.

Un altro esempio della confusione ideologica che Expo vuole diffondere riguarda il tema dell’acqua. Mentre in tutti i documenti si racconta la favola del diritto al libero accesso all’acqua, la multinazionale Nestlè (che sarà anche protagonista del padiglione elvetico, per “far scoprire al visitatore il rapporto che c’è tra l’uomo e il cibo”) attraverso la san Pellegrino vince l’appalto come “acqua ufficiale” di Expo2015 – nella città che vanta (con buone ragioni) la qualità della sua “acqua del sindaco” e che dovrebbe sostenere la consapevolezza della necessità di ridurre lo spreco causato dalla diffusione di bottigliette di acqua in plastica. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una resa da parte di chi si pone sul piano dell’alternativa possibile, che diventa semplicemente un comportamento sullo stesso piano di quello che si vorrebbe modificare. Siamo ben al di là dei “piccoli passi”: siamo alla resa alle ragioni del capitale multinazionale, ancora una volta egemone e vincente persino sul piano ideologico.

Ancora, possiamo parlare della questione Ogm. Anche in questo caso chi organizza Expo2015 sta molto attento a non spingere sul pedale di un’introduzione libera e senza regole degli Ogm. Si limita a voler aprire la strada ad un “ripensamento scientifico”, e ad un possibile scambio globale con i paesi della periferia. In questo senso ci sembrano significative le parole di Corrado Passera (al tempo amministratore delegato di Intesa San paolo, principale sponsor di Expo2015) citate ancora da Bukowski: “noi siamo posizionati nel mondo dei prodotti agro-alimentari con una serie di prodotti unici, riconoscibili, non replicabili…”, che quindi dobbiamo difendere e promuovere per i consumi internazionali, evitando di “contaminarli” (ideologicamente) con gli Ogm. Allo stesso tempo “in talune parti del mondo si deve spingere a trovare strumenti che permettano di rendere la produzione mondiale più sostenibile sia in termini di qualità, sia in termini di prevedibilità anche in condizioni avverse”. In questo modo si prone uno scambio alle aziende italiane e alle multinazionali: manteniamo il più possibile l’Italia libera da Ogm e i suoi prodotti appetibili per la nuova classe media globale, mentre si continui a spingere per Ogm e brevettazioni nei paesi della periferia.
Questa è la compagnia in cui si trova a operare Vandana Shiva nel suo ruolo di “Ambassador” per Expo2015! Perché, come da manuale della collaborazione programmatica, “Ad Expo, a discutere di agricoltura e di ambiente, non dobbiamo lasciare solo le multinazionali della chimica e dei semi”: peccato che queste siano ben piazzate nei posti chiave dell’organizzazione del “grande evento”.

Questi esempi della propaganda “collaborativa” di Expo2015 si trovano anche in un’altra grande operazione ideologica: quella rappresentata dalla Cascina Triulza e da “Expo dei popoli”, diverse tra loro ma sullo stesso piano della “presenza della società civile” all’interno o collateralmente ad Expo2015.
In questo caso dobbiamo essere chiari. Molte delle organizzazioni e Ong che partecipano a queste operazioni sono onestamente e quotidianamente impegnate per un diverso modello di sviluppo. Non è rispetto al loro impegno che verte la nostra critica, quanto sulla loro scelta di contribuire alla diffusione dell’illusione rappresentata da Expo2015, lavorando, implicitamente o esplicitamente, alla direzione di una conciliazione degli interessi e comunque nell’accettazione del tavolo formato dai “diversi stakeholder” come luogo possibile per affermare quel diverso modello di sviluppo. Non c’è bisogno di essere anticapitalisti per capire che quel tavolo è una truffa e che l’alternativa non può passare dalla collaborazione con le multinazionali o con illusioni “green”.
Expo dei popoli dichiara fin dalla prima riga del suo manifesto programmatico: “L’assegnazione a Milano e all’Italia dell’Expo 2015 “Nutrire il Pianeta Energia per la vita” ci offre l’opportunità di condividere, in primo luogo con la comunità milanese, ma poi con tutti gli interlocutori che a livello globale accetteranno il confronto, idee e proposte su un tema strategico per il futuro dell’umanità. L’Expo 2015 sarà l’occasione, secondo quanto dichiarato, per condividere con i popoli del mondo intero esperienze, progetti e strategie per nutrire il pianeta e per garantire energia per la vita alle future generazioni”.
A parte la considerazione, per noi importante, che organizzazioni che si vogliono impegnate per i diritti globali dovrebbero porre un po’ più attenzione al contesto di un evento che produce “debito, cemento e precarietà”…
Sarebbe come pretendere di far un “controvertice”, al G8 piuttosto che ad altre istituzioni neoliberiste, all’interno o parallelamente al vertice stesso, “opportunità” per parlare dei propri progetti. In questo caso si sceglie la strada dell’integrazione nel discorso collaborativo – che tra le Ong ha peraltro grande presa (pensiamo alla loro partecipazione alla ridicola truffa degli “obiettivi del Millennio”, che servono a raccontare la storia di governi impegnati a risolvere il problema della povertà mondiale mentre promuovono politiche che distruggono società e ambiente a livello globale).

Ma, ci viene detto, “non si può dire sempre di no”, dobbiamo saper cogliere la sfida della proposta. A parte che siamo convinti che ci siano “no che aiutano a crescere”, di fronte ad un evento come Expo2015, il cui segno prevalente è quello della promozione degli interessi delle multinazionali e che perpetua la logica di sistema, il no dovrebbe essere un punto di partenza per parlare chiaro, senza fingere che sia altro e senza sostenerne le logiche interne. Perché Expo2015 potrà anche contribuire a migliorare le statistiche sulle performance produttive globali, ed in particolare dei profitti di multinazionali e imprese dell’agrobusiness, ma sicuramente non sosterrà una diversa distribuzione di queste risorse e nemmeno una promozione dell’agricoltura contadina e di consumo consapevole. Insomma, siamo ancora nelle statistiche di Trilussa: anche se aumenterà il consumo di polli, rimarrà sempre vero che di fronte al pollo a testa, “c’è un antro che ne magna due”.

articolo tratto dal sito communianet.org