#EXPROPRIO cap. 2 ovvero cemento, debito e criminalità (organizzata)

expo2di L. I. Bergkamp

Expo ha anche un aspetto molto reale e concreto: il cemento.

Per realizzare il progetto è stato necessario cementificare interamente l’area tra Pero e Rho Fiera, uno dei pochi brandelli di terra finora risparmiati al crogiuolo di strade, autostrade e fabbriche che circonda la città di Milano.

Circa 1.090.000 metri quadri di terreno risultano utilizzati ufficialmente per la costruzione del sito, 900 mila nel comune di Milano, 189 mila in quello di Rho, ma inserendo nel conto anche le edificazioni per eventi o progetti legati all’Esposizione, la cifra aumenta vertiginosamente.

Una prima colata di cemento, quindi, per permettere la creazione della piastra in cui inserire gli allacciamenti necessari ai padiglioni, una seconda per rendere la città “ospitale” e “all’altezza dei visitatori”. D’altronde lo dice anche lo spot televisivo di Expo, in tema d’accoglienza “nessuno è pari a noi italiani”.

Chi abita nei pressi di Milano, però, si ricorderà che quella zona accoglieva una delle più grandi raffinerie Agip d’Italia. Prima di lanciare i bandi avranno sicuramente bonificato l’area… o forse no?

No, i terreni sono inquinati, non c’è nemmeno bisogno di una perizia per saperlo, basta tirar su una zolla di terra per sentir l’odore di petrolio. Eppure nega Expo s.p.a., nega Arexpo, negano tutti. Peccato però che i carotaggi effettuati tra 2010 e 2011 mostrino livelli di idrocarburi pesanti (sì, petrolio) sopra le soglie minime d’allarme per le aree residenziali. Che fare quindi? Bonificare? Certo che no, si aspetta prima che arrivino i risultati dell’ARPA, non si sa mai che i terreni nel frattempo si bonifichino da soli.

I risultati dell’ARPA arrivano, l’inquinamento è ancora lì, la bonifica s’ha da fare. Non è molto chiaro, però, coi soldi di chi. I costi sarebbero dovuti essere a carico dei proprietari originari dei terreni, ovvero Fiera Milano e gruppo Cabassi, come peraltro stabilito dal Consiglio Comunale di Milano nel 2011. Ecco però che a pagare sarà soprattuto Expo s.p.a., ovviamente con soldi pubblici.

Arexpo s.p.a., infatti, ha firmato con Expo 2015 s.p.a. un accordo quadro, in cui si definisce che i costi di bonifica siano pagati interamente da Expo s.p.a., che si potrebbe rivalere su Arexpo s.p.a., che si potrebbe rivalere su Cabassi e Fiera Milano, che si potrebbero rivalere… per un costo massimo di 6 milioni di euro.

Il preventivo sui costi di bonifica era così poco credibile che solo pochi mesi dopo CMC ha richiesto a Expo s.p.a. 30 milioni di euro extra, di cui 15 per spese relative all’eliminazione dei terreni inquinati. Dato che, da accordi, solo 6 potrebbero essere richiesti da Expo s.p.a. ad Arexpo s.p.a., ecco che ci troviamo con un buco di 9 milioni di euro di soldi pubblici, piccolo regalo a Fondazione Fiera e gruppo Cabassi.

Scopriamo così anche un altro dato interessante, cioè che la gara d’appalto per la rimozione delle interferenze è stata vinta proprio dalla ravennese CMC (Cooperativa Muratori Cementisti), con un’offerta di 58 milioni di euro, contro i 90 previsti inizialmente, con successiva accusa di turbativa d’asta. Anche sotto questo aspetto Expo non si smentisce, a chi poteva affidare l’appalto se non a una società nota in tutta Italia per il suo sviluppo in “grandi opere” con annessa devastazione di territori, distruzione di habitat e militarizzazione di intere aree?

Per non farsi mancare nulla, sui cantieri di Expo inzia ad aleggiare anche l’ombra della corruzione e della malavita organizzata.

Per la realizzazione del verde troviamo il consorzio stabile Litta, il cui vicepresidente è indagato per associazione a delinquere finalizzata a plurime turbative d’asta, accusa relativa alla creazione di un cartello d’aziende per la spartizione degli appalti del verde pubblico nella zona di Monza. E’ anche indagato nel 2009 dalla procura di Milano per una tangente al consigliere Pdl Angelo Giammario. Nel consorzio troviamo anche la Baronchelli s.r.l.. Achille Baronchelli è indagato dalla procura di Milano per corruzione, perché avrebbe pagato una tangente, sempre ad Angelo Giammario, per alleggerire i controlli sull’azienda. Insieme al figlio, poi, è indagato in un’inchiesta di Monza per turbativa d’asta. Un ramo della Baronchelli nel 2010 viene comprato dalla Ventura s.p.a., impresa associata alla Compagnia delle Opere (Comunione e Liberazione) e nota per ipotesi di collusioni mafiose.

La Elios, altra azienda interessata dai lavori per Expo, è composta di sei società. Tra queste c’è Elios s.r.l., mandataria del gruppo, indagata nel novarese per traffico illecito di rifiuti. Dopo l’invio di un’informativa atipica da parte della prefettura di Milano a Expo s.p.a., in cui si metteva in discussione la legalità dell’azienda, Expo s.p.a. nel luglio 2012 revoca il contratto. Dopo 10 giorni dalla revoca della licenza, l’azienda viene reinserita nei cantieri con un provvedimento d’urgenza

Un’altra società facente parte di Elios è la bergamasca Testa Battista & C., socia in affari con la Locatelli s.p.a., sotto inchiesta per una tangente versata a Nicoli Cristiani, poi arrestato con l’accusa di traffico illecito di rifiuti e corruzione nell’ambito di un’inchiesta della società Brebemi e sulla discarica di amianto di Cappella Cantone.
La tangente riguarderebbe proprio alcuni controlli “leggeri” durante la realizzazione della discarica nel cremonese, la prima discarica d’amianto in Lombardia.

Per ricordare solo le coincidenze più interessanti, guardiamo l’appalto per le barriere autostradali, affidato a Tubosider, in cui partecipa Tubosider s.p.a., fino al 2007 nel gruppo COMAST (che detiene la vittoria di quasi il 95% degli appalti sulle barriere autostadali in Italia), condannata insieme ad altre 7 aziende del gruppo per la creazione di “meccanismi anticoncorrenziali”.

Manca però il primo appalto, il più importante, per la realizzazione della piastra. Nella cordata vincitrice c’è anche la Ventura s.p.a., come già detto spesso associata alla “mafia dei lavori pubblici”, ma il cuore è la Mantovani. Questa società, insieme ad altre quattro delle nove imprese che hanno risposto al bando per l’appalto, fa parte del Consorzio Venezia Nuova (con un fatturato di 700 milioni di euro annui), concessionario unico privato al quale è stata affidata la realizzazione del Mose e la sua successiva manutenzione.
L’accusa alla Mantovani di turbativa d’asta per Expo scatta dopo pochissimo, data la vittoria con un ribasso di pochi punti percentuali sopra il limite legale (circa 42% su un limite del 43%). Expo s.p.a. chiede l’uscita di scena del presidente (incriminato per presunte mazzette), ma la possibilità di un’interruzione dei lavori convince poi a lasciar correre. Ed anche così Expo potrebbe ottenere la procedura d’urgenza.

E’ sempre più chiara, così, la proposta di un modello economico sbagliato, pericoloso, che addosserà su molti il debito dovuto alle speculazioni di pochi, il tutto condito di criminalità organizzata. Che l’esposizione non si volesse allontanare dai più beceri stereotipi l’avevamo già capito dall’approccio al genere di “Women for Expo” in stile “donne e fornelli” e dalle innovative pubblicità Rai tutte centrate su “Italia: pizza e mandolino”. A completare il quadro mancava giusto la mafia, ma Expo ha rimediato in fretta.

articolo tratto dal sito communianet.org