Se questa è accoglienza

tende bresso

Le dichiarazioni di Beppe Sala delle ultime 24 ore: “Emergenza profughi: non escludiamo la soluzione tende”, poi “Tutto falso, nessuna tendopoli”, ma anche “Aggiungeremo solo alcune tende”, “Non ci sono altri spazi disponibili”, e ancora “Allestiremo una tendopoli nella Caserma Montello. Forse”. E poi, il tormentone dell’estate: “Allestiremo l’area Expo, non sappiamo quando, ma non ci sono alternative”. Insomma: “La situazione è completamente sotto controllo”, ma anche: “Siamo in una situazione di emergenza”.

La rilasciamo anche noi una dichiarazione: “Se questa è accoglienza, provate a chiederlo a chi la vive sulla propria pelle”.

Da un anno stiamo monitorando la situazione del Centro della Croce Rossa di Bresso di Via Clerici 13 (vedi), teoricamente deputato allo “smistamento” ma dove da mesi e mesi vengono tenuti circa 600 rifugiati, un numero pari al doppio della portata massima di quel centro. Una tendopoli, per altro, in cui lo spazio di vita di ciascuna persona è limitato alla propria brandina, dove il freddo gela le ossa di inverno e il caldo rende l’aria irrespirabile d’estate. Il cibo è di pessima qualità e non ce n’è abbastanza per tutti, le condizioni igienico-sanitarie sono pessime e chi ha osato fare obiezione ha subìto minacce dagli operatori del centro. Attorno e dentro al campo, per altro, regna l’isolamento e la marginalizzazione: collocati nel mezzo del Parco Nord, i ragazzi, da dentro quel posto, non hanno idea di come sia fatta la città, di quali servizi esistano, come poter imparare l’italiano, come poter raggiungere i luoghi di socialità. I pochi soldi che hanno in tasca ogni giorno sono l’unico modo, per chi non ha vestiti, per avere qualcosa di adeguato con cui coprirsi. Sì, perché, per legge, chi inoltra la richiesta di asilo non ha il diritto o la possibilità reale di lavorare, fino a che non avrà ricevuto il responso. Qualcuno (un’esigua minoranza) di loro ha ottenuto lo status di rifugiato: la serenità è durata il tempo di ricevere la notizia, perchè avere diritto a restare in Italia, significa perdere il diritto ad avere un posto in cui dormire, e la strada per molti è l’unico rifugio.

Questa è la condizione delle centinaia di persone di cui astrattamente parlano i giornali e le amministrazioni. Noi ne abbiamo avuto testimonianza diretta – video-fotografica e orale – dagli stessi ragazzi che in quelle condizioni vivono e attendono.
Così, da circa 5 mesi abbiamo inoltrato alla prefettura la richiesta di poter accedere al Centro, attraverso il progetto LasciateCIEntrare, l’associazione NAGA Onlus e la rete People Before Borders, per poter monitorare un servizio teoricamente pubblico, ma che nella pratica è gestito “privatamente”, tra forze dell’ordine, amministrazioni locali, Governo e Croce Rossa, da dietro barriere di filo spinato invalicabili. Come se la cosa non dovesse riguardarci. Tant’è che il giorno in cui eravamo pronti ad entrare, le porte ci sono state chiuse di nuovo in faccia fino a data da stabilire.

In questa assurda attesa, nostra, ma soprattutto delle persone “parcheggiate” nei centri, le dichiarazioni di Sala sulla gestione dell’accoglienza aggravano la situazione. Da una parte, cercano di nascondere una situazione al di sotto della soglia della dignità, che costa cara alla salute fisica e mentale di chi la vive, e dall’altra cercano di affermare che questo inaccettabile “modello” sia l’unico possibile.
Non ci sono spazi disponibili?! Milano è invasa da un patrimonio sfitto e abbandonato, sia pubblico che privato, e non ci sarebbero alternative alle tendopoli?
Le alternative ci sono eccome, è la volontà politica che manca.

O meglio, è un’altra volontà che si mette in atto, quella di un progetto politico ben preciso, targato Unione Europea, che ragiona sull’accoglienza con la logica di fare business, propaganda, e di non “turbare” la vista dei cittadini bianchi e ricchi, “che hanno diritto – loro sì – a vivere tranquilli”.

“Se questa è accoglienza”… NO, questa non è accoglienza.
E’ segregazione, è gestione autoritaria, è un’ipocrita scelta dal “volto umano” di “non respingere”, che mette in pratica un’implicita gerarchia sulla base del colore della pelle. E’ terreno di coltura per un clima xenofobo e di guerra tra poveri.

In tutto questo, la falsità più grande riguarda noi: non è vero che possiamo solo restare a guardare o commentare sui social network, non è vero che possiamo scegliere soltanto tra la compassione o la caccia all’uomo nero.
Esiste un’altra strada, che può cambiare radicalmente la situazione: quella del sostegno materiale e della solidarietà attiva
, non soltanto alle “prime necessità”, ma anche alle proteste degli stessi rifugiati nei confronti di queste situazioni, persone che non sono affatto vittime degli eventi come si vuol far passare, nè si fanno spedire da una parte all’altra come pacchi.

Se anche voi come noi siete rimasti disgustati da ciò che è successo e succede a Ventimiglia in questi giorni, è tempo di dirci apertamente che anche Milano è piena di scogli e di violenza,
e che restare umani significa assumersi un ruolo in tutto questo, a partire dai nostri quartieri, dalle associazioni che lavorano sul territorio alle scuole di italiano per stranieri, dagli sportelli di assistenza legale alle raccolte di cibo e vestiti, dai pranzi solidali alle campagne per riuscire a entrare nei centri, dalle manifestazioni di protesta dentro ai campi a quelle nei confronti delle istituzioni, responsabili di tutto ciò.

E se provassimo a decidere noi come può cambiare questa situazione?

Ri-Make