#FineIntervallo

1044972_127520490791377_840710777_nLasciato nel suo penoso stato attuale, il cinema Maestoso continua a caratterizzare piazzale Lodi, a Milano. Purtroppo la nuova tinteggiatura grigiastra e l’opera di muratura interna alla struttura, ostentata in tutti gli ingressi visibili, non hanno fatto che peggiorare anche da un punto di vista dell’immagine l’idea che quel luogo abbia smesso di poter essere di qualche utilità sociale e pubblica.

Questi interventi hanno simboleggiato la volontaria distruzione del ruolo che quel cinema ha avuto e poteva avere nel quartiere. Essi sono stati opera attuata in seguito allo sgombero avvenuto in piena estate dell’esperienza di autogestione e riappropriazione che avevamo messo in campo, col nome di Ri-Make, attraverso l’occupazione di quel luogo lo scorso giugno.

Oggi, a qualche mese da quell’evento che ha ricacciato l’ex cinema nel limbo degli spazi vuoti e inutili (anzi: utili alle sole speculazioni private) presenti a Milano, è il caso di fare un bilancio dell’esperienza per capire da dove ripartire.

Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che spazi di autogestione, mutuo soccorso e riappropriazione di alcuni bisogni sociali fondamentali (come aggregazione, cultura, arte, studio, abitare, etc.) continuano ad essere una necessità reale in questa città. E questo avviene senza il bisogno che le istituzioni lo riconoscano pubblicamente: la nostra è stata una delle tante esperienze che sono nate, crescono e continuano a nascere sul territorio milanese e che decidono di percorrere una esperienza simile, per quanto non identica, alla nostra. Non si tratta quindi di un caso isolato il nostro, e rifiutarsi di prendere atto di questo bisogno reale non può che fare delle istituzioni locali una presunta rappresentanza, cristallizzata e cieca alle necessità reali.

Abbiamo verificato quanto difficili e macchinose da mettere in piedi potessero essere le forme dell’autogestione che abbiamo cominciato a sperimentare nell’occupazione del cinema: la gestione di una attività quotidiana, dai molti visi e dalle molte proposte è stata non poco complessa; ma ci stavamo prendendo la mano. Oltretutto abbiamo anche visto quanto queste forme abbiano potuto essere forti, potenti e dirompenti nel coinvolgimento e nella partecipazione dal basso, nonché nella capacità di alimentare una coscienza collettiva in chi cerca un’alternativa all’esistente. Per questo ci sentiamo sicure e sicuri nell’affermare che quella è la strada che continueremo a perseguire, sperimentandoci e re-inventandoci.

Importantissima è stata l’esperienza legata ai primi ragionamenti sulla concezione e sulla costruzione di una conflittualità sociale che risponda agli attuali tempi della crisi: non è stato, pensiamo, il semplice occupare un cinema un atto conflittuale e utile in quanto tale. È fondamentale che esperienze di quel tipo imparino ad essere capaci di considerare un contesto sociale schiacciato dalla crisi e che avrebbe rivendicazioni reali da portare in campo, un contesto sociale che deve essere l’interlocutore reale e con cui è fondamentale che si crei un’interazione proficua. Un contesto sociale che, per altro, ci auguriamo nel prossimo periodo essere in movimento, con l’obbiettivo di rispondere alle offensive dell’austerità imposta e ai giochi del profitto dei pochi. Il mese di sperimentazione passata ci ha dato le prime chiavi di lettura e i primi responsi su come questo difficile processo ci possa vedere coinvolti positivamente.

Una cosa è certa: in questo paese, sulla scia della mobilitazione del 18-19 ottobre (le manifestazioni di Roma) e della grande data delle mobilitazioni in difesa del territorio del 16 novembre (coi cortei di Napoli e Susa, ma anche altre iniziative contemporanee), c’è una vera e propria volontà di riscatto che caratterizza in larga parte settori sociali.

Sono questi coloro che subiscono colpi già effettuati e/o programmati da chi sta speculando su questa crisi, con l’immancabile appoggio dell’attuale governo di larghe intese. Sono questi settori quelli che intendono lottare per una inversione di rotta e l’aprirsi di una possibile alternativa sociale. Questa volontà di riscatto sarà per noi nei prossimi mesi uno dei campi nei quali scommettere su una ricostruzione di una forte istanza sociale.

Prepariamoci (e preparatevi) quindi: non c’è dubbio che torneremo a breve a sperimentare le forme di cui volevamo essere portatori con l’ultima esperienza. Non per ripetere semplicemente noi stessi, ma per provare a trovare assieme le forme utili a proporre un’autorganizzazione che possa realmente cambiare le cose.

Ri-Make – Communia Milano