Storie che solo noi sappiamo pronunciare.

ex_cuemSulla sentenza per lo sgombero della libreria autogestita ex-Cuem.

Pochi giorni fa sono stati condannati in primo grado i 7 compagni/e imputati per lo sgombero della libreria ExCuem in Università Statale di Milano.
Le accuse sono di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento, con condanne dai 6 agli 8 mesi e senza sospensione della pena per due compagni.
Rifiutiamo totalmente la costruzione giudiziaria e repressiva che di quei giorni viene fatta ed è stata fatta fin dai primi momenti di questo assurdo processo.
Lo rifiutiamo essendoci stati in quelle giornate, e avendo ancora chiare in mente e sulla pelle le violentissime cariche, a freddo e ingiustificate, attuate dentro il chiostro dell’Università da più di cento uomini delle Forze dell’Ordine, verso una quarantina di studenti e solidali massacrati a manganellate fino all’uscita dell’ateneo, il tutto per gravissima responsabilità del rettore Gianluca Vago. Ricordiamo ancora le braccia rotte, le teste aperte e non accettiamo che per l’ennesima volta l’abuso dalle parte delle forze dell’ordine sia rigirato contro chi ha subito questa violenza.
Ma rifiutiamo la narrazione repressiva di questa sentenza e di tutto il processo soprattutto perché cerca di cancellare una storia alla quale abbiamo dato vita e partecipato fin dal primo momento, quello della libreria autogestita Ex-Cuem.

Una storia fatta di tante storie e tutte capaci di lasciare segni importanti in questa Università: storie di riappropriazione in una struttura del sapere totalmente mercificata e devastata dalle riforme degli ultimi 15 anni, capace solo di espropriare dei suoi diritti chi ci studia e/o lavora; storie di autogestione e mutuo soccorso costruiti giorno dopo giorno da studentesse e studenti (e non) che sfidavano l’espulsione economica dal ciclo formativo, rispondendo ai costi impossibili con strumenti concreti di autorganizzazione dal basso, con fotocopie a offerta libera e scambi di libri e dispense; storie di cultura e controcultura critica, di discussioni, di presentazioni di libri, di concerti, di poesie, di teatro, tutto a rompere la luccicante trasmissione ufficiale di un sapere “morto”, al servizio esplicito del mercato del lavoro flessibile, funzionale solo al discplinamento alla precarietà e all’asservimento all’autorità; storie di conflitti attuati e raccontati, incontrando svariate esperienze di lotta, di resistenza, di autogestione, tutte parte di un racconto più ampio in cui il percorso della libreria si inseriva.

Una storia fatte di tante storie alla ricerca di alternative concrete, efficaci e possibili, contro e dentro lo smantellamento del proprio presente e del proprio futuro, che difendiamo, come abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo.
Per questo non permettiamo che venga giudicata e distorta giudiziariamente questa storia, da chi non può sopportare che qualcuno o qualcosa abbia aperto e continui ad aprire orizzonti diversi che mettano in discussione i loro mondi ingabbiati.
Resistere oggi alla devastazione e al saccheggio della propria Università, del proprio territorio, della propria città non è un fatto giudicabile in un processo, sono pratiche e percorsi raccontabili solo da chi li costruisce e li vive, da tutt* quell* a cui manca l’aria e che provano a respirare assieme.

Dopo lo sgombero della libreria e di quelle violentissime cariche, alcun* di noi espressero in un reading teatrale tratto da “L’amore degli insorti” di Stefano Tassinari il senso e le emozioni di quelle giornate, di come bruciavano e cosa ci lasciavano. Vogliamo rinfrescare quei momenti e raccontare questa storia fatte di storie così:

“Una strada aperta ai sentimenti…
è da qui, dicevi, che si deve ripartire
per dare ancora un senso
ai giorni che verranno
a rammentarci di esser stati altro
da un semplice raduno di ricordi
e pugni in tasca, e mano nella mano
e voci spente all’arrivo della notte
come se i passaggi del tempo
c’invitassero a tacere all’improvviso
e il nostro mondo si fosse messo in posa
per sembrare sempre fermo
davanti al sogno di vederlo in movimento
senza uno strascico di pesi alla memoria
che da sola si trasforma in nostalgia
e nulla più.
(…)
E mi rimane, infine, la certezza
che si possa sbagliare dalla parte giusta
schierati a protezione di un’intesa
tra l’utopia di chi insegue gli orizzonti
e gli orizzonti stessi che si spostano per noi
come se fossero le guide di un cammino
in fondo al quale scavalcare il mare
per ritrovare lì l’amore degli insorti
che solo noi sappiamo pronunciare”