Tra “tavoli” e diritto alla città

expo2Abbiamo seguito con attenzione la discussione in corso a Milano tra i diversi spazi sociali occupati sull’opportunità o meno di aprire un confronto con l’amministrazione comunale. Un’occasione che potesse funzionare, allo stesso tempo, come “sospensione temporale” della politica degli sgomberi che ha caratterizzato anche questa Giunta; e come possibilità di una discussione vera su cosa possa diventare questa città per chi ci vive, ci lavora, ci abita.
A dire il vero, sul secondo terreno, non abbiamo mai nutrito particolari illusioni: la Giunta “arancione” che, semplicemente, ha deciso di mettersi a disposizione dei comitati di affari che governano con profitto (per loro) la metropoli milanese gestendo con zelo la partita dell’Expo2015, e rimanendo, più che indifferente, complice, di fronte alla corruzione sistemica che essa svela, non può essere interlocutrice seria di chi questa città la vuole trasformare dal punto di vista del soddisfacimento dei bisogni sociali delle classi popolari.
Ma sul primo terreno era lecito provare a sfidare questa Amministrazione. Verificare cioè se era disponibile,sul serio, a prendere atto che in questa città vivono conflitti sociali che non chiedono a nessuno- tantomeno alla Giunta “arancione”- di essere riconosciuti o legittimati. Ma non possono essere derubricati a problemi di ordine pubblico, di cui liberarsi dicendo semplicemente “spiacente non è nostra competenza impedire il tale sgombero o il talaltro sfratto esecutivo”.
In altre parole questa Amministrazione poteva scegliere di convivere con il conflitto iniziando il confronto con un atto politico che “liberasse il campo” da equivoci e strumentalità: dichiarare, con i propri termini, magari usando il linguaggio “felpato” delle istituzioni, che avrebbe praticato unilateralmente una moratoria degli sgomberi – a partire da quelli già annunciati e minacciati – fino alla fine del 2015, impegnandosi ad attivarsi su questo terreno nei confronti delle altre istituzioni – leggi Prefettura e Questura.
Impegnativo? Certo, ma possibile. A meno che il “tavolo di confronto” non si riduca ad un espediente per “ricostruire relazioni elettorali” a sinistra nei confronti di un mondo, dall’associazionismo al movimento sindacale a coloro che gli spazi li occupano e li fanno vivere, ormai insofferente e disilluso nei confronti di un’amministrazione che non ha prodotto alcuna rottura vera, alcuno scarto politico significativo rispetto alle precedenti gestione della città, delle politiche sociali ed abitative, dell’esercizio della democrazia partecipativa.
Per questo per ora non abbiamo preso la parola. Il passaggio dell’incontro svoltosi il 3 luglio scorso era utile per “andare a vedere” cosa veniva messo sul tavolo.
E abbiamo visto. Molte parole, dichiarazioni d’intenti fumose e inconsistenti e nessun vero atto politico annunciato.
Il solo che sarebbe servito: dichiarare la moratoria degli sgomberi e rifiutare di considerare i conflitti sociali in questa città – compreso quello agito da chi rivendica il diritto all’abitare – problemi di ordine pubblico. Questo avrebbe permesso, probabilmente, una fase successiva di confronto su come contrastare lo scempio urbanistico nella Milano dell’Expo utilizzando alcuni strumenti che le amministrazioni hanno a disposizione – per esempio la norma contenuta nell’ultimo regolamento edilizio approvato dal Comune che permette l’esproprio di aree proprietà di privati e lasciate all’abbandono per più di cinque anni…-.
Questo atto politico non c’è stato e per noi, a questo punto, il giudizio sul percorso che si propone l’Amministrazione è piuttosto chiaro: non produrrà alcuna dinamica positiva, non garantirà una durevole agibilità agli spazi occupati, non è utile sede di confronto per chi vuole affermare un’altra idea di città rispetto a chi oggi la governa. Quindi scegliamo di sottrarci ad un confronto inquinato da una amministrazione che vorrebbe, forse, riaprire un dialogo a sinistra, ma per le rigidità delle compatibilità politico-economiche che la tengono stretta non è nelle condizioni di farlo sul serio.
Comprendiamo le ragioni degli spazi occupati e dei soggetti di movimento che dicono di continuare a provarci. Ma riteniamo che la discussione vera da fare tra i movimenti sociali, gli spazi occupati, le associazioni che praticano i terreni della cittadinanza attiva, i militanti e i delegati sindacali che si ostinano a pensare ancora che esistono diritti e garanzie da riconquistare, i giovani e i precari che rivendicano reddito, dignità, lavoro, i collettivi di genere che non si accontentano della commercializzazione “creativa” degli spazi urbani e di vita, sia un’altra.
Cioè: come ripartire insieme da questa estate piovosa e umida per ricostruire un movimento di contestazione dell’evento Expo 2015 che indichi anche un altro modello di società e di vita comune per cui valga la pena di battersi. Un movimento capace di conquistarsi un radicamento sociale vero e quindi capace di esercitare pratiche intelligenti ed attrattive rispetto a coloro che vivono all’esterno dei diversi “fortini “della militanza politica e sociale.
Su questo terreno ci siamo e vogliamo parlarne con tutti e tutte, a partire dall’assemblea convocata questa sera in piazza Gae Aulenti, che giudichiamo un sforzo positivo di costruzione di uno spazio pubblico autonomo di confronto e a cui parteciperemo cercando di dire la nostra.

Ci sembra utile citare per finire la conclusione dell’articolo uscito ieri su Il Manifesto e firmato da Sandro Medici a proposito della vicenda del Teatro Valle di Roma rispetto alle intenzioni (preoccupanti) manifestate dal sindaco Marino (anch’esso piuttosto “arancione”), non per amore delle citazioni, ma perché ha qualcosa a che vedere con quanto stiamo discutendo a Milano:

“Qui non si tratta di stabilire se e quanto sia legale occupare uno stabile abbandonato per riconvertirlo ad un uso sociale o culturale. Qui si tratta di schierarsi. O si sta con i bisogni sociali o si sta con gli interessi”.

Ri-Make – Communia Network